Si è rotto l’anulare della mano destra e col gesso non avrebbe potuto partecipare alle Olimpiadi di Parigi 2024: i medici lo hanno così messo davanti a due strade, amputarsi una parte del dito o prendersi del tempo per recuperare e saltare i giochi. Lui, il giocatore australiano di hockey su prato Matt Dawson, ha scelto la prima opzione: “Non ho avuto molto tempo per decidere" ha dichiarato a Seven Network. "Mia moglie mi ha detto di non prendere una decisione affrettata, ma credo di aver avuto tutte le informazioni necessarie non solo per giocare a Parigi, ma anche per la vita successiva e per garantirmi la migliore salute possibile".
Nelle ultime Olimpiadi, quelle di Tokyo, Dawson ha conquistato la medaglia d’argento, per lui quelli di Parigi saranno i terzi giochi in carriera.
La storia di Dawson ha dell’incredibile ma non è certo l'unica degna di nota di un’Olimpiade. Noi ne abbiamo scelte 4 tra l’impensabile e lo stupefacente per motivi molto diversi tra loro.
Stoccolma 1912: Shizo Kanakuri si addormenta durante la maratona e viene dato per morto, la sua corsa dura 54 anni
Siamo alle Olimpiadi di Stoccolma 1912 e il grande favorito per la maratona è Shizo Kanakuri. Il corridore giapponese soffre il gran caldo che si respira durante la corsa e data l’assenza di luoghi deputati al recupero delle energie dovuta ad alcune ferree regole stilate dall’organizzazione decide ad un certo punto di riposarsi, scegliendo di adagiarsi in una casa collocata lungo il tracciato.
Kanakuri purtroppo si addormenta e si risveglia soltanto a competizione terminata. Non arriva al traguardo e viene dichiarato scomparso: dato che l’atleta orientale non darà mai comunicazione del proprio ritiro le autorità locali lo considerano morto.
Sarà un giornalista a scoprire diversi anni dopo che Kanakuri è vivo ma la cosa più incredibile deve ancora accadere.
Nel 1967 infatti, quando si festeggia il 55esimo anniversario dei Giochi di Stoccolma, gli organizzatori si mettono in contatto con il giapponese e lo invitano a completare il percorso che non aveva mai chiuso. Kanakuri ha 76 anni e corre gli ultimi 7 km del tracciato concludendo ufficialmente la propria maratona in 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 8 ore, 32 minuti e 20,3 secondi.
Montreal 1976: gli URSS imbrogliano ad una gara di scherma, la figuraccia è planetaria
Il pentatleta sovietico classe 1937 Boris Onischenko arriva alle Olimpiadi di Montreal 1976 da plurimedagliato sia alle Olimpiadi che ai mondiali. E’ un punto di riferimento del movimento ma nella seconda giornata di pentathlon moderno, quella dedicata alla scherma, si consuma l’impensabile: l’URSS affronta la Gran Bretagna e Onischenko si trova ad un certo punto davanti come avversario Jim Fox.
Il match ha inizio, Onischenko affonda, stoccata e punto per i sovietici ma qualcosa sembra non quadrare. L’atleta britannico è infatti certo di non aver ricevuto alcun colpo ma si va avanti. Altra stoccata del sovietico, altro punto ma la spada sembra essere finita parecchio distante dall'avversario.
Qualcosa continua a non quadrare.
L’allenatore della Gran Bretagna si appella ai giudici ma anche Onischenko stesso ammette di non aver centrato l’avversario. A questo punto la sua spada viene minuziosamente esaminata e dentro la coccia - la guardia delle tre armi usate nella scherma che protegge la mano di forma semisferica o sferica - viene rinvenuto un congegno elettrico collegato ad un pulsante che se attivato inscena un falso contatto assegnando la stoccata. Onischenko viene subito escluso e viene accertata che si tratta di una sua iniziativa, isolata: immediatamente rimpatriato, viene congedato, multato e privato di tutti i titoli vinti fin lì.
In patria diventerà un tassista e sparirà nel nulla.
Barcellona 1992: il tedoforo Antonio Rebollo manca il bersaglio, la dinamica non è mai stata chiarita del tutto
Un'altra delle storie degne di nota è quella legata al tedoforo paraolimpico spagnolo Antonio Rebollo, incaricato di accedere il braciere olimpico a Barcellona 1992. Il lancio di una sua freccia avrebbe dovuto dunque dare fuoco alla fiamma olimpica ma quando Rebollo, che si trova dalla parte opposta rispetto al suo bersaglio, scocca il dardo qualcosa non va come preventivato.
Lì per lì sembra che la sua freccia colpisca perfettamente il bersaglio infilandosi nel braciere ma quello che sembra un colpo da maestro assume poco dopo le sembianze di un semplice trucco: la freccia è infatti caduta fuori dalle tribune, a scoprirlo è una troupe televisiva USA.
Il braciere si è accesso si ma solo per via di un sistema automatico.
La ricostruzione della cosa divenne un caso sui giornali: qualcuno affermò che tutto era accaduto come da programma dato che la freccia di Rebollo doveva solo transitare vicino al braciere per incendiare il gas che avrebbe dato vita alla fiamma. Che uscisse dallo stadio era dunque previsto.
Olimpiadi invernali di Salt Lake City 2002, Steven Bradbury entra nella ‘leggenda’
Siamo alle Olimpiadi invernali di Salt Lake City 2002 e l’atleta che si prende la copertina in modi più che sorprendenti è il pattinatore Steven Bradbury. L’australiano partecipa ai 1500 metri dove esce al secondo turno e ai 1000 metri dello short track ed è proprio in questa specialità che si consuma un evento a suo modo leggendario.
Ai quarti di finale, Bradbury arriva terzo ma la squalifica di Marc Gagnon gli apre le porte della semifinale. La performance non è delle migliori ma grazie a cadute e squalifiche dell’ultimo momento l’australiano accede alla finale.
Le speranze di una medaglia sono appese a un filo, sulla pista ci sono dei campionissimi che non aspettano altro che la finale di quel 16 febbraio 2002 per ottenere l’oro olimpico. Bradbury accumula praticamente subito un ritardo parecchio significativo, si capisce abbastanza bene che la sua sarà una gara anonima ma ad un certo punto il cinese Li Jiajun perde aderenza e cade.
Lo scivolone è piuttosto rovinoso e l'atleta orientale trascina con se sul ghiaccio tutti gli altri pattinatori che stavano lottando per le medaglie.
L’effetto domino che ne viene fuori è impressionante, cadono praticamente tutti tranne lui, Bradbury, che vince in solitaria la medaglia d’oro essendo l’unico atleta che chiude il percorso.
È il primo oro per la storia dell’Australia nel pattinaggio. L’evento diventa talmente iconico e ricordato che in Australia nasce persino un modo di dire, ‘doing a Bradbury’ per riferirsi ad un successo clamoroso.