Si terrà il prossimo 17 aprile il referendum sulle trivellazioni in Italia. I promotori ne avevano richiesto lo spostamento a giugno, quando in molte città si svolgeranno le amministrative, così da usufruire di condizioni più favorevoli in termini di affluenza (in teoria, è chiaro), ma, Decreto 98/2011 alla mano, il governo ha confermato l’indicazione iniziale. Non potendo contare su alcun aiuto, se così lo si può definire, per il raggiungimento del necessario quorum (deve votare almeno il 50% degli aventi diritto), rimane il tema del referendumin sé e per sé: “volete che, quando saranno scadute le attuali concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas e petrolio?”.
Prolungare le attuali concessioni oppure no
Nelle acque territoriali italiane, cioè i lembi di mare entro le 12 miglia dalla costa (circa 20km), sono in atto specifiche concessioni per lo sfruttamento di alcuni giacimenti. Il quesito riguarda la volontà di rinnovare tali concessioni dopo la scadenza. Se vincerà il sì, l’articolo 6 del Codice dell’Ambiente, che prevede lo sfruttamento di un giacimento fino al suo esaurimento, sarà abrogato. Non sono quindi previste interruzioni dei contratti in essere, né sono interessati i giacimenti sulla terraferma o quelli oltre le 12 miglia, e neppure le circa 100 piattaforme petrolifere nei mari italiani.
Ma ilfuturo sono gli idrocarburi?
Le concessioni da valutare sono in capo a società dai nomi importanti, come Eni, Shell Italia, Edison o la britannica Northern Petroleum UK.
Fra di esse c’è anche la Petroceltic Italia, succursale dell’irlandese Petroceltic International, alla quale il governo italiano ha dato il via libero lo scorso 10 gennaio per le trivellazioni al largo delle Tremiti, nel parco naturale del Gargano: estensione dell’area 373 km quadrati, valore della concessione 1900 euro l’anno, ovvero 5.10 euro al km quadrato.
Il quesito referendario risveglia la complessa questione della gestione del clima in rapporto alle nostre esigenze energetiche. I dati di fatto sono che l’umanità ha fame crescente di energia e che la maggior parte di tale fame viene soddisfatta attraverso gli idrocarburi. Un poco più dibattuta è la questione se tale sistema stia ingenerando il cambiamento climatico, ma, al di là del fronte – non molto popoloso, per dire la verità – degli scettici, è assodato anche il fatto che l’inquinamento prodotto sia crescente, deleterio e insostenibile già nel breve periodo.
Polveri sottili e inquinamento, fabbisogno energetico, innalzamento della temperatura e sfruttamento degli idrocarburi sono diversi aspetti di uno stesso problema. Pensare che l’esito del prossimo referendum possa risultare decisivo dal punto di vista globale sarebbe sbagliato, ma forse è anche sbagliato pensare che non esistano alternative alle pietanze con le quali, ad oggi, soddisfiamo la nostra fame di energia.