L’Italia entra da protagonista nel dibattito sulla fusione nucleare. Una nuova mappatura europea individua circa 900 zone compatibili con l’installazione di centrali sperimentali o commerciali: 196 sono sul territorio italiano. Un dato che riaccende il confronto su nucleare e transizione energetica, mostrando come il Paese disponga di condizioni infrastrutturali favorevoli ben oltre il Nord industriale.

Dove potrebbero sorgere le centrali a fusione

L’analisi, condotta nell’ambito del progetto European Site Mapping dalla Technical University of Munich, non indica siti puntuali ma aree potenzialmente idonee, selezionate in base a parametri tecnici: connessioni alla rete elettrica, presenza di infrastrutture energetiche, vicinanza a poli industriali ad alto consumo.

La Pianura Padana emerge come asse privilegiato: un corridoio che va da Torino a Milano, prosegue lungo il Po e arriva verso Cremona e Venezia. Proprio il Cremonese spicca per la concentrazione di nodi dell’alta tensione, un elemento chiave per impianti ad alta intensità energetica.

Non solo il nord: nella mappa anche centro, sud e isole

La distribuzione delle aree racconta però un’Italia più ampia e articolata:

  • Nord-Ovest: Torino e una vasta fascia tra Piemonte e Lombardia, con estensione verso l’Emilia occidentale;
  • Nord-Est: aree tra Verona e Venezia e un polo individuato nel territorio di Udine;
  • Emilia-Romagna: un’ampia zona tra Bologna e la costa adriatica, fino a Ravenna e Rimini;
  • Centro Italia: Toscana (aree Pisa-Livorno e Grosseto) e un corridoio strategico tra Umbria, Roma e basso Lazio verso Latina;
  • Sud: area metropolitana di Napoli, tratti in Puglia (Brindisi) e Calabria (Catanzaro);
  • Isole: Catania in Sicilia e un segmento nel sud-ovest della Sardegna, non lontano da Cagliari.

Tempi lunghi ma la ricerca accelera

La fusione non è dietro l’angolo.

Gli addetti ai lavori stimano almeno dieci anni prima di vedere prototipi commerciali operativi. Alcune realtà industriali, tuttavia, puntano a ridurre le tempistiche: è il caso di Eni, coinvolta nella partnership con la statunitense Commonwealth Fusion Systems (CFS).

Italia tra scetticismo e rilancio tecnologico

La pubblicazione della mappa riapre una frattura storica: l’Italia resta divisa sul nucleare, ma la fusione, diversa dalla fissione per sicurezza e gestione dei rifiuti, cambia i termini del confronto. Intanto, sul fronte istituzionale, Roma muove passi concreti nella ricerca avanzata. I ministri Pichetto Fratin e Bernini hanno annunciato l’ingresso dell’Italia nel Comitato Direttivo IFMIF-DONES, infrastruttura strategica in costruzione a Granada per testare i materiali dei futuri reattori a fusione.

La partecipazione, tramite Enea e INFN, rafforza il ruolo del Paese nella filiera scientifica europea.

Un Paese sospeso tra presente e futuro

Il quadro che emerge è duplice: da un lato, le difficoltà irrisolte sul deposito delle scorie e le resistenze territoriali; dall’altro, un potenziale logistico e industriale che potrebbe rendere l’Italia una piattaforma ideale per la fusione nucleare. Una tecnologia ancora in fase di sviluppo, ma capace di riscrivere il mix energetico dei prossimi decenni.