Potevamo scegliere Roberto Bettega, l'attaccante dalla 'cabeza blanca' che diede all'Argentina l'unico dispiacere del Mondiale casalingo, poi vinto dall'Albiceleste. Ma anche Claudio Gentile che, con le buone e le cattive annullò dal campo un giovane Diego Maradona nella sfida di Barcellona del 1982. Sarebbe stato altrettanto scontato parlare dello stesso Maradona e di quel tiro beffardo che gonfiò la rete di Giovanni Galli ai mondiali messicani del 1986, ma a livello di carica emotiva ben pochi personaggi hanno caratterizzato la lunga sfida tra Italia ed Argentina al pari di Sergio Goycochea.

Sembra assurdo che un portiere, nemmeno tra i migliori di sempre schierati dalla Nazionale del Rio de la Plata, riesca a caricarsi sulle spalle i destini di una squadra mediocre e la porti fino alla finale di un Campionato del Mondo. Eppure è accaduto e, quando si cita il suo nome, i tifosi italiani più maturi hanno ancora gli incubi. Goycochea condannò l'Italia alla delusione più cocente della sua storia calcistica ultracentenaria, non ci sono emozioni in negativo paragonabili a quella triste notte napoletana del 3 luglio 1990. Alla vigilia dell'amichevole di lusso Italia-Argentina abbiamo deciso di rievocarlo, magari per esorcizzarne il pessimo ricordo.

Eroe per caso

Sergio Goycochea all'epoca dei mondiali italiani del 1990 aveva 26 anni e non giocava nemmeno in patria.

Nel 1988 il River Plate lo aveva ceduto al Milionarios di Bogotà, nel campionato colombiano. Carlos Bilardo lo inserisce comunque nella rosa dell'Argentina che in Italia deve difendere il titolo mondiale conquistato quattro anni prima. Il titolare è Nery Pumpido, campione mondiale in carica. Il torneo dell'Albiceleste inizia nel peggiore dei modi, con la sconfitta di Milano al cospetto del sorprendente Camerun.

Nella successiva sfida contro l'URSS, l'Argentina si gioca tantissimo ed è qui che Pumpido, dopo 10', si frattura una gamba in un'uscita bassa. Tocca ad 'El Goyco' che svolge ordinaria amministrazione e, nell'occasione più pericolosa, viene salvato da una nuova 'mano de Dios' di Maradona che respinge di pugno un colpo di testa avversario che sembra destinato in gol e, ancora una volta, sarà graziato dall'arbitro.

Gli uomini di Bilardo vincono comunque 2-0 e, nella successiva gara con la Romania, grazie al pareggio 1-1 si qualificano per gli ottavi anche se tra le migliori terze ripescate. Nel secondo turno va in scena il superclasico contro il Brasile a Torino, gara che mette ulteriormente in mostra i limiti dei campioni mondiali in carica: eppure, contro una selecao che mette in scena un vero e proprio assedio, basterà la vecchia tattica del muralla y contraataque. Un'Argentina arroccata in difesa punirà il Brasile nell'unica opportunità fornita da un contropiede, innescato dal piede magico di Maradona e finalizzato da Caniggia. La stessa tattica sarà utlizzata contro la talentuosa Jugoslavia nei quarti di finale, ma qui non ci saranno contropiedi micidiali: entrambe le squadre chiudono il match, supplementari compresi, a reti inviolate.

Ci vogliono i rigori e scatta l'ora di Sergio Goycochea. La sequenza è celeberrima: Serrizuela segna per l'Argentina, Stojkovic sbaglia; realizzano Burruchaga e Prosinecki, poi c'è l'incredibile errore di Diego Maradona ipnotizzato da Ivkovic. Quindi Savicevic che porta in vantaggio i 'plavi' e Troglio che fallisce ancora per i sudamericani. I campioni del mondo sono sull'orlo del baratro, ma è qui che Goycochea scrive la sua sua leggenda, neutralizzando i tiri di Brnovic e di Hadzibegic, con in mezzo il gol di Dezotti che vale la semifinale.

La notte più triste del calcio italiano

La semifinale si gioca a Napoli, a casa di Diego Maradona, ma l'avversaria è l'Italia. Gli uomini di Azeglio Vicini, trascinati dai gol di Totò Schillaci, hanno vinto tutte le gare fin qui disputate e non hanno mai subito gol: insieme alla Germania sono i grandi favoriti per il titolo.

Il primo tempo sembra confermare il pronostico, l'Italia domina il match e passa meritatamente in vantaggio con il solito Schillaci dopo poco più di un quarto d'ora. Poi il furore azzurro si placa, nel corso dei minuti l'Argentina guadagna metri di campo, tuttavia dopo oltre un'ora di partita la porta italiana non ha mai corso seri pericoli. Il pareggio arriva dunque per caso, ad opera di Caniggia, favorito dall'errore più clamoroso della straordinaria carriera di Walter Zenga. Gli azzurri sembrano frustrati, gli argentini prendono coraggio: passa il 90', arrivano i supplementari ed il risultato non cambia. Si va ai calci di rigore e siamo sul terreno di Sergio Goycochea che diventa ancora l'uomo del match, parando gli ultimi due tentativi azzurri dal dischetto calciati da Donadoni e Serena, mentre gli argentini vanno tutti a segno.

Lo stadio di Napoli diventa una tomba, una delle più belle Nazionali italiane di sempre si sente scippata di una finale che sembrava scontata. Ragion per cui ci sarà anche una coda poco edificante per i tifosi di casa che, nella finale di Roma, fischieranno dall'inizio alla fine l'Argentina a partire dall'inno, supportando apertamente la Germania. Non sarà certamente una bella cartolina dall'Italia, il comportamento del pubblico romano non ha scusanti, alla fine gli argentini non ci avevano rubato nulla: semplicemente, avevano sfruttato l'unica carta a loro disposizione in quel mondiale dove un Maradona sulla soglia dei 30 anni non era più grado di replicare i miracoli di quattro anni prima.

Il 'giochino' di puntare ai calci di rigore sarà messo in atto anche contro la Germania ma qui, ironia del destino, gli uomini di Bilardo saranno puniti proprio da un calcio di rigore a 6' dalla fine (peraltro molto dubbio) che sarà realizzato da Brehme. Goycochea, il miglior para-rigori della storia dei Mondiali, non parerà quello più importante della sua vita. Il calcio prende e dà: alla fine il buon Sergio, oggi commentatore sportivo, legherà il suo mito a quelle indimenticabili sequenze dagli 11 metri contro Jugoslavia ed Italia. Volevamo esorcizzarne il triste ricordo, ma alla fine per noi che abbiamo vissuto Italia-Argentina del 1990 sarà una ferita sempre aperta.