«Il calcio è un semplice gioco (a simple toy)!» Chi lo ha detto? Un certo Joe Fagan. Chi era costui? Semplicemente l’allenatore di quel Liverpool che il 30 maggio 1984, allo Stadio olimpico, strappò la Coppa dei Campioni alla Roma.
Il cronista ha un’opinione personale di quella maledetta partita: la squadra britannica mise in mostra un gioco eccezionale, superiore anche a quello “a ragnatela” della Roma di Liedholm, diretta da un Paulo Roberto Falcao (purtroppo, quella sera, non in perfette condizioni fisiche). Mai, prima d’allora, si era vista una difesa così alta e una squadra così “piatta” sui campi di gioco d’Italia.
Per il resto, in Italia si giocava ancora – e si giocherà per molti altri decenni – con il catenaccio e il contropiede di “trapattoniana” memoria. Ma, pur essendo stratosferico, al Liverpool di quella sera fu necessaria la “svista” dell’arbitro Fredriksson per avere ragione della Roma e conquistare la sua quarta Coppa dei Campioni. Il gol del vantaggio inglese, infatti, era viziato da una precedente carica sul portiere romanista Tancredi e andava annullato.
Dopo più di trent’anni: Liverpool all’italiana e Roma all’inglese
Corsi e ricorsi della storia: dopo trentaquattro anni, le due squadre si sono nuovamente incontrate nella Champions League 2017-2018, in due partite di semifinale – stavolta – e recitando ruoli tatticamente diversi.
I 180 minuti, infatti, hanno dimostrato che la squadra che ha assimilato gli insegnamenti di Joe Fagan non è stata il Liverpool ma la Roma di Di Francesco. Proprio grazie alla sua “difesa alta” la Roma era riuscita, il turno precedente, a mettere il bavaglio e ad eliminare niente meno che il Barcellona di Leo Messi. Un Barcellona che, negli anni, aveva – invece – mandato a memoria lo schema a “ragnatela” della Roma di Liedholm, ribattezzandolo come “tiki-taka”.
Scandalizziamo qualcuno se affermiamo che la squadra giallorossa, complessivamente, si è dimostrata superiore al Liverpool, in termini di gioco? Il Liverpool di Klopp, visto in questi 180 minuti, a nostro parere, ha messo in mostra tre attaccanti fortissimi (Salah, Firmino e Mané) ma un centrocampo inesistente e una difesa poco meno che decente.
Ma ha trovato nel suo allenatore, che ne ha esaltato le caratteristiche, il vero erede dell’italiano Trapattoni.
Il gioco dei “reds” di Klopp, infatti, si basa tutto sui lanci che, dalla difesa, provengono agli attaccanti, scavalcando il centrocampo. E, ai quei tre fenomeni, a questo punto, basta poco per mettere la palla in rete, soprattutto con le squadre che giocano con la “difesa alta”. Ma questo è il senno del poi. Anche Di Francesco è stato preso in contropiede e ha adottato le contromisure solo all'80mo della partita d'andata.
Cambiano le tattiche ma il risultato è lo stesso: vince chi ha il favore degli arbitri
Nonostante ciò, anche stavolta il Liverpool ha avuto bisogno di due arbitraggi ampiamente favorevoli per eliminare la Roma.
Nella partita d’andata, infatti, il suo quinto gol era di gran lunga in fuori gioco (lo erano sia Salah, sia il giocatore che ha poi partecipato all’azione e ha segnato); nella partita di ritorno c’era prima un fallo d’attacco su Dzeko nell’azione del secondo gol, poi i due rigori negati, con corollario altrettante espulsioni da ultimo uomo.
Alla luce di ciò è ininfluente che i due rigori concessi nel finale di partita alla Roma, sia all’andata che al ritorno – che, comunque, c’erano – siano stati “generosi”. Il risultato, però, deve far riflettere Di Francesco e chi è responsabile della campagna acquisti della Roma. In un campionato come quello italiano, dove tante squadre dai piedi per nulla buoni si arroccano in difesa, per poi colpire in contropiede, il risultato finale, per la Roma, rischia di essere spesso sfavorevole.
Non sempre si riesce a mettere in fuorigioco i giocatori avversari, come è successo otto volte con il Barcellona e altre sette nel derby di ritorno con la Lazio (e cinque volte con il Liverpool, sia all’andata che al ritorno). Talvolta, come ad Anfield, gli arbitri il fuorigioco non lo fischiano nemmeno. Per quanto riguarda i pronostici sulla squadra che vincerà la finale di Champions, il britannico Sherlock Holmes avrebbe risposto: «Elementare, Watson: quella con l’arbitro a favore!»