«Tornavo a casa a ora di cena con la mia ragazza», comincia Francesco B., il giovane alto, il primo testimone. «Era domenica quel 23 febbraio 2013. Stavamo per attraversare le strisce pedonali in via Morgagni a Milano. Il taxi (Aquila 7) sopraggiunse dalla destra in quella strada a senso unico e non si fermò per farci passare». Fu allora che Guglielmo Davide Righi, «l'uomo dell'altra coppia che ci stava accanto, scagliò contro la fiancata dell'auto bianca quattro bottiglie d'acqua minerale ancora incellophanate».

Alfredo Famoso, l'autista di 68 anni, bloccò l'auto qualche metro più avanti. «Scese alterato, lasciò lo sportello aperto, attraversò in diagonale la strada, si avvicinò a noi che intanto eravamo sul marciapiede». «Hai visto cosa hai fatto? Mi hai rotto lo specchietto, ora me lo ripaghi!», disse a Righi. «Ben ti sta! gli replicò quello, così impari!». E sollevate ancora le quattro bottiglie recuperate gliele scagliò sul volto. Inebetito, frastornato, o tramortito, «il tassista barcollò, fece due passi indietro, cadde». Come un sacco, chissà se complice il gradino del marciapiede. «Sbatté la nuca contro la ruota di scorta di una Jeep parcheggiata a ridosso delle strisce».

Aveva un respiro affannoso, "russava" dirà un'altro testimone, incapace come tutti di pensare già a un rantolo. È stato "l'impatto" sul fuoristrada, quello successivo segnato da una macchia di sangue sull'asfalto o non piuttosto il colpo tra zigomo e occhio la causa delle morte? Ora il processo è fatto di questi dettagli, virgole come quella che accelera o rallenta la velocità del taxi: «Andava (o no) a passo d'uomo?». Certo non sfrecciava, ma forse «non si è voluto fermare, come fanno tanti», dice la ragazza, che per prima ha chiamato i soccorsi.

Ma è anche possibile che non avesse visto pedoni, aggiunge una terza testimone che era con la sua auto dietro ad Aquila 7 e ne ha visto la lieve frenata: «C'erano delle auto parcheggiate, come sempre in quella strada». Certo è che Righi, l'imputato, si era spaventato soprattutto per la compagna che stava per dargli una bambina. Lei racconta d'essere stata trattenuta dall'uomo a un soffio dall'auto. «Cosa hai fatto Davide?», gli urlò. «Niente», rispose lui e la trascinò via verso casa. La rassicurò che quello si sarebbe ripreso. E non tornò indietro neanche all'intimazione di un maresciallo di finanza che poi, impietosito dal pancione di lei, si accontentò di chiedergli generalità, indirizzo e numero di cellulare. Scaricata la spesa, uscirono di nuovo per una pizza. Lunedì mattina Righi con la suocera accompagnò la donna in clinica per l'ultimo esame. Lasciò il telefonino in casa. Ma non si sottrasse alla polizia che ormai lo cercava. Il tassista era morto senza riprendere conoscenza.