Negli Stati Uniti tensione alle stelle a Ferguson in attesa del verdetto del Grand Jury sul possibile rinvio a giudizio del poliziotto che ad agosto uccise il diciottenne afroamericano Michael Brown. Intanto a Cleveland un ragazzino nero di 12 anni, Tamir E. Rice che maneggiava una pistola giocattolo, è stato ucciso da un agente.

"Ha una pistola e la sta puntando sulla gente" diceva la telefonata giunta alla polizia di Cleveland che manda una pattuglia sul posto. Uno dei due agenti, con poca esperienza, accompagnato da un ufficiale come spiega il vicecapo Ed Tomba, gli intima di gettare l'arma ed alzare le mani, ma secondo l'agente, questi mima l'estrazione della pistola che teneva nella cintura e di conseguenza gli spara allo stomaco e lo uccide.

In quel momento si scopre che la vittima è un dodicenne afroamericano e che la sua pistola è un giocattolo.

A questo punto, di fronte alle accuse che gli vengono rivolte dalla popolazione nera, Tomba si giustifica: "noi non veniamo a lavorare ogni giorno per fare del male, perché facciamo parte della comunità e vogliamo difenderla", ma i cittadini si chiedono quale comunità i poliziotti bianchi che sparano a neri indifesi, vogliono difendere? Non è chiaro, a vedere i risultati. E non è chiaro a tutte le persone che scendono in piazza a protestare, e che non si sentono difesi.

E non è chiaro neanche a New York, dove una protesta è stata organizzata a Brooklyn, dopo la morte di Akay Gurley, freddato sulla porta di casa durante un pattugliamento dell'edificio in cui viveva, e non è chiaro a Ferguson, Missouri, dove sta uscendo la decisione del Gran Jury sulla incriminazione eventuale di Darrell Wilson, poliziotto bianco che uccise il diciottenne Michael Brown nell'agosto scorso, nero e disarmato anche lui.

Nel frattempo stanno arrivando rinforzi da tutto lo stato mentre si teme il peggio dato che la decisione del Grand Jury rischia di diventare il giudizio finale dell'America sulla questione razziale.

Aspettando la decisione, sono pronte allo scontro le due parti della società, che sembra avere voglia di menar le mani su vecchie questioni di carattere razziale che, nonostante tutto, non riescono a terminare.