Ha i capelli lunghi che le scendono sulla schiena e si fermano poco dopo la spalla, gli occhi grandi e verdi che sanno di innocenza persa o mai avuta. Aspetta lì, con altre persone, come le altre persone. Pensa alla mamma, al papà, al fratellino. Attende il suo turno per il passaggio attraverso i metal detector installati a difesa della città di Maiduguri, capitale dello stato federale di Borno in Nigeria. Una guardia si insospettisce, viene verso di lei. Lei sembra disperata, non vuole che la guardia la prenda, non vuole che la guardia guardi sotto la sua maglietta.

Ma non ha tempo. Lei una bambina uguale a tante altre, uguale a tante Europee o Nordamericane, lei una bambina comune che non ha tempo.

La deflagrazione è veloce e spietata, colpisce tutto e tutti, non tiene conto di niente: età, sesso o religione. Colpisce e travolge prima lei e i suoi occhioni verdi. Colpisce i suoi sogni, i suoi desideri, le sue speranze. La sparge al vento come polvere, come oggetto insignificante. Ora, è veramente libera, ha pagato il prezzo per essere nata.

Sono questi, forse, gli ultimi istanti delle bambine che sono state fatte esplodere sabato, nei pressi del mercato di Maiduguri, mentre gli occhi del mondo erano puntati sulla Francia, su Parigi, su Charlie Habdo.

Mentre il mondo difendeva la libertà di parola, non si accorgeva che il suo futuro saltava in aria, esplodeva in un veloce deflagrare, si dilaniava e si ammassava tra i marciapiedi delle strade per poi sparire nell'assoluto silenzio.

La furia del terrorismo non disdegna alcun mezzo, attacca i giornali, siti internet e usa una versione "rivisita" in chiave moderna del vecchio mito dei kamikaze.

Mentre le persone, l'occidente, difendono se stesso non si accorge che il mondo a poco a poco sta eliminando se stesso. Una bambina esplosa fa più morti di quelli che si possono vedere o documentare tra le strade nigeriane dilaniate da Boko Haram. Una bambina esplosa uccide l'innocenza stessa, e se non esiste più innocenza allora siamo tutti colpevoli.