"Un giorno farò qualcosa che cambierà completamente il sistema, e tutti conosceranno il mio nome e se lo ricorderanno". Così parlò Andreas Lubitz, confidandosi con la sua ex fidanzata che, oggi, rende note sul quotidiano tedesco Bild le drammatiche intenzioni del copilota della sciagura aerea di Germanwings, costata la vita a 149 innocenti. 

Nella vita privata un uomo mite.  

Un uomo gentile, lo descrivono in molti. Solare, come spesso si dichiara di persone che, lucidamente, nascondono dentro sé stessi una drammatica follia solitaria. "Durante i voli era una persona carina e aperta.

Privatamente era molto tenero, un uomo che aveva bisogno d'amore. Era una brava persona, in grado di essere tanto dolce. Mi regalava fiori". Con queste parole la ragazza, ex assistente di volo e protetta dall'anonimato, rivela una descrizione di Lubitz molto vicina al ragazzo della porta accanto, all'uomo cui si affida la propria vita una volta che si sale su un aereo. 

Nell'ambito lavorativo la trasformazione.  

Era gentile, certamente. Ma in privato. Era l'ambito lavorativo a renderlo nervoso. Poco denaro, stress e ritmi frenetici di lavoro erano gli aspetti della propria vita di cui Lubitz si lamentava. Ma c'erano anche timori per il futuro, paura per il contratto e la troppa pressione cui era sottoposto.

Per questo, quando il copilota si confidò con la sua ragazza di allora, la giovane già presagiva qualcosa di pericoloso, un aspetto dell'uomo che le stava accanto che non le era troppo chiaro. E, probabilmente, egli stesso aveva già in mente un gesto eclatante da compiere e per il quale tutto il mondo lo avrebbe conosciuto, e drammaticamente, ricordato.

"Da quando ho sentito del disastro mi torna sempre in mente una frase che ha detto. "Un giorno farò qualcosa che cambierà l'intero sistema e tutti allora conosceranno il mio nome e se lo ricorderanno. Non ho mai capito cosa intendesse, ma ora ha un senso".

Tutto torna, dunque. Quel progetto di essere ricordato è perfettamente riuscito, ma trascinando con sé degli innocenti.

Una relazione, come racconta la stessa ragazza, nata per caso, su un volo, ma mai resa nota perché non era il caso di mischiare le faccende lavorative con quelle affettive. Infine, la separazione. Voluta dalla stessa ventiseienne, spaventata da un uomo che sempre più palesemente mostrava di avere problemi e che non la rendevano serena. Perdeva il controllo, racconta ancora la ragazza, spesso urlando. Di lì la scelta di lasciarlo. 

Perché portare con sé altre persone nell'impatto con la morte? Semplicemente perché troppo presi da sé stessi e dai propri problemi. Ogni volta che si sale su un aereo, l'equipaggio ci saluta e ci dà il benvenuto. Stiamo entrando in una "casa" che ci ospiterà per un numero variabile di ore.

Spesso c'è anche il comandante a darci il benvenuto, i piloti. Lo avrà fatto anche Andreas Lubitz, quel giorno. Guardando, ma non vedendo. Si chiama narcisismo della morte. E porta a pensare alla morte, alla pianificazione del proprio suicidio. Non conta essere soli.