È passato un anno esatto dalla svolta nell'omicidio della piccola ginnasta Yara Gambirasio, scomparsa dopo essere uscita dalla palestra che frequentava abitualmente a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, e il cui cadavere fu ritrovato esattamente tre mesi più tardi, nell'ormai tristemente famoso campo di Chignolo D'Isola. Era esattamente il 16 giugno del 2014 quando per questo crimine fu tratto in arresto Massimo Bossetti, muratore di 45 anni originario di Mapello.

Dopo lunghe e complesse indagini, nelle quali hanno preso parte numerosi professionisti forensi, gli investigatori sono giunti al muratore attraverso la comparazione del suo DNA con quello ritrovato negli indumenti intimi della giovane Yara.

Il suo DNA fu prelevato attraverso uno stratagemma, quando alcune sere prima, Bossetti fu fermato a un posto di colpo e sottoposto alla prova dell'etilometro, il cui tampone fu prelevato dagli specialisti della scientifica, per essere sottoposto a verifiche. Fino al giorno del suo arresto, le tracce di DNA ritrovate sulla povera vittima erano attribuite a "ignoto 1", che gli investigatori sapevano essere il figlio illegittimo di Giuseppe Guarinoni, autista di autobus che ebbe una relazione extra-coniugale con la madre di Massimo Bossetti.

La prova regina a suo carico

Quella del DNA è la prova regina a carico del muratore, nel processo in Corte di Assise che inizierà esattamente il 3 luglio, e che Bossetti affronterà dovendo difendersi da accuse che nel caso fossero confermate rischierebbero di condannarlo alla pena massima dell'ergastolo.

Le accuse a suo carico sono quelle di omicidio aggravato da sevizie, con le aggravanti della crudeltà e dell'impossibilità a difendersi da parte della giovane vittima. Inoltre, vi è anche un secondo capo d'imputazione a carico di Bossetti, che dalla cella continua a professare la sua innocenza: quello di calunnia nei confronti di un altro muratore, suo collega di lavoro verso il quale, con lo scopo di sviare le indagini dalla sua persona, con le sue dichiarazioni indirizzòil lavoro degli inquirenti.

L'impianto accusatorio

Quella del DNA, seppure sia la più importante, non è l'unica prova a carico di Massimo Bossetti. A suo carico vi sono anche le immagini di numerose telecamere istallate nei pressi della palestra frequentata da Yara, che provano la presenza del muratore nei pressi dell'impianto il giorno della scomparsa della vittima.

Analizzate dai tecnici del Ros, i fotogrammi certificano che il furgone del muratore, quella sera transitò molte volte nella zona dell'impianto di Brembate. Inoltre, vi sono anche le fibre ritrovate sugli indumenti della giovane vittima, che confrontate con quelle prelevate dai sedili del furgone dell'imputato, corrispondono perfettamente.

Tra accusa e difesa si annuncia una lunga battaglia

Il team difensivo di Bossetti, che nelle ultime settimane attraverso una lettera ha affermato con forza la sua innocenza, ha già annunciato che darà battaglia al fine di dimostrare l'innocenza del suo assistito, dichiarando che porterà in aula una lunga lista di testimoni e cercherà di smontare la prova del Dna, che in più occasioni hanno contestato vivamente. Indipendentemente dall'esito del processo, resta l'epilogo di questa triste vicenda, che è la morte di una giovane ragazzina che aveva davanti a se tutti i migliori anni della propria vita.