Il giallo di Pordenone fa emergere verità sempre più scottanti. Da quando è stato iscritto nel registro degli indagati Giosuè Ruotolo, il presunto assassino di Trifone Ragone e Teresa Costanza, gli inquirenti si chiedono anche quale possa essere stato il movente che, eventualmente, potrebbe avere spinto il 26enne ad uccidere i due giovani fidanzati. In un laghetto vicino al palasport è stata ritrovata anche la pistola con cui sarebbe stato commesso il delitto. Gli investigatori dovranno effettuare degli altri esami sull'arma.

La pista dell'invidia

Gli agenti hanno una pista ben precisa, quella dell'invidia. Gli inquirenti pensano che l'omicidio possa essere scaturito da una lite tra Trifone e Giosuè per la partecipazione ad un concorso per finanzieri. L'opportunità del transito nella guardia di finanza si sarebbe rivelata una vera e propria sfida rabbiosa tra i due. Eppure Trifone e Giosuè erano amici. Insieme ad altri ragazzi avevano condiviso un appartamento, fino al maggio del 2014, quando Trifone aveva deciso di andare a vivere con Teresa.

L'alibi

A Somma Vesuviana, paese originario di Giosuè, tutti lo descrivono come un ragazzo tranquillo. Ruotolo, però, non ha un alibi per la sera dell'omicidio: ha raccontato di essere stato a casa a giocare alla PlayStation.

Tuttavia, il giovane ribatte che, anche se non ha un alibi, non vuol dire che sia per forza colpevole. Sulla sua accusa, il ragazzo si dichiara tranquillo, perché afferma di non aver fatto niente. Inoltre ha precisato di non aver mai avuto una pistola e ha escluso di aver litigato con Trifone.

Ha assicurato di non litigare spesso e lo stesso ha detto in relazione a Trifone, che ha definito una persona solare.

Resta da capire se veramente abbia detto la verità. Ruotolo ha descritto il rapporto con il collega definendolo "non invasivo". Riguardo a Teresa, invece, ha detto che la conosceva appena. Poi ha dato anche un giudizio sul duplice omicidio, affermando che si tratta di "un'atrocità che un essere umano non può fare".