Ieri, 19 gennaio, si è svolto il secondo interrogatorio diGiosuè Ruotolo, unico indagato, insieme alla fidanzata, del'delitto di Pordenone'. L'ex coinquilino e commilitone di Trifone Ragone si è avvalso, però, della facoltà di non rispondere: non a caso l'incontro tra i sostitutiCampagnaro e Vallerine gli avvocati della difesa, Rigoni Stern e Esposito, e lo stesso indagato è durato meno di un'ora. Una scelta che non ha spiazzato i più esperti in materia di cronaca giudiziaria in quanto l'hanno considerata la migliore opzione difensiva, poiché la Procura sta giocando ancora a carte coperte.

I legali di Giosuè hanno semplicemente dichiarato, al termine dell'incontro-lampo, che il ragazzo ha fiducia nella magistratura e che è sicuro che le indagini dimostreranno la sua completa estraneità nell'omicidio dei due fidanzati.

Il profilo Facebook anonimo

Il silenzio di Giosuè Ruotoloin molti, però, ha fatto ulteriormente incrementare i sospetti e i dubbi sulla sua innocenza. Nella puntata de 'La vita in diretta' di ieri, infatti, si è ritornato a parlare del profilo Facebook anonimo che il giovane di Somma Vesuviana aveva aperto nell'estate del 2014 da un un computer della caserma in cui prestava servizio. Un account che utilizzava per inviare messaggi a Teresa Costanza, nei quali metteva in dubbio la fedeltà di Trifone.

Un profilo di cui ne era a conoscenza anche la fidanzata del ragazzo indagato, Rosaria Patrone, come dichiarato da alcune testimonianze. Ora gli inquirenti, come precisato durante il programma, stanno vagliando l'eventuale possibilità che altre persone (oltre Giosuè e Rosaria) potessero avere accesso a quell'account, un'informazione che potrebbe essere ricavata individuando la postazione precisa dalla quale è stato creato.

Insomma, pare finalmente che il 'delitto di Pordenone' sia a un punto di svolta davvero importante. L'unica cosa da definire in modo preciso, prima di procedere a un eventuale arresto, è il movente, un movente che appare estremamente ambiguo nel caso in cui Ruotolo venisse accusato formalmente di aver commesso il delitto.