Sette mandamenti e 41 famiglie, tra le quali quelle di Favara, Lampedusa e Linosa che, al momento, non risultano collocarsi all'interno di specifici mandamenti. E' questa la nuova articolazione della mafia agrigentina "radiografata" nella relazione della Dia diretta da Nunzio Antonio Ferla sul primo semestre 2015 - consegnata nei giorni scorsi al Parlamento dal ministro dell'Interno Angelino Alfano - che conferma tra l'altro un ruolo di rilievo nella "cupola regionale". "Le peculiarità dell'organizzazione mafiosa operante in provincia di Agrigento - si legge nel dossier - risultano sostanzialmente omogenee rispetto a quelle della criminalità organizzata della Sicilia Occidentale: stesso ordinamento gerarchico ed articolazione del territorio, modalità operative e settori d'interesse, con analoghe criticità connesse al turn-over indotto, tra l'altro, dall'azione repressiva dello Stato".
Estorsioni e usura i principali affari dei clan agrigentini
"Anche in quest'area permangono, infatti, condizioni d'instabilità degli assetti - sensibili nella governance di vertice alle recenti scarcerazioni di alcuni importanti sodali - comunque influenzati dalla vicina provincia trapanese. Nei suoi profili strutturali Cosa nostra agrigentina si presenta come un'organizzazione verticistica ed unitaria, con un forte radicamento territoriale ed un ruolo di rilievo sia nei confronti delle altre consorterie criminali gravitanti nella provincia (la stidda) sia nell'ambito delle gerarchie mafiose della regione. La presenza di Cosa nostra, capillare e invasiva, si manifesta attraverso una gestione monopolistica delle estorsioni nei confronti - spiega la relazione della Dia - di operatori economici e per la sistematica 'colonizzazione' imprenditoriale.
Quest'ultima sembrerebbe spesso realizzata sfruttando il parallelo canale dell'usura, specie nelle piccole e medie imprese, più soggette a crisi di liquidità ad anche con l'obiettivo di realizzare il definitivo spossessamento delle aziende. La pressione intimidatoria risulta, peraltro, indirizzata anche nei confronti di esponenti del mondo economico ed amministrativo, al fine di ingerirsi nel sistema produttivo e istituzionale attraverso il condizionamento dei centri decisionali".
Intimidazioni a raffica per condizionare le decisioni
La mafia agrigentina ha dimostrato, nel tempo, anche un'elevata capacità d'interazione con gli stakeholder del territorio, infiltrandosi nelle compagini sociali e mirando, attraverso una rete di collusioni, ad interferire nell'attività della Pubblica Amministrazione al fine di dirottare a proprio vantaggio le commesse pubbliche.
Tra i settori particolarmente a rischio di infiltrazione si segnala, anche per la provincia di Agrigento, quello dei rifiuti, che risulta vulnerabile a causa di decifit gestionali ed infrastrutturali e di un cronico stato emergenziale che caratterizza tutto il sistema regionale. "Altro comparto di particolare interesse per Cosa nostra - come dimostrano le indagini della Dia di Agrigento guidata dal vice questore aggiunto Roberto Cilona - è quello dell'agroalimentare (agrumicolo, olivicolo, frutticolo ecc.) principale volano dell'economia del posto e collettore di attrazione di finanziamenti pubblici. Nell'intento di riciclare il denaro e massimizzare i profitti le consorteria mafiose investono risorse economiche utilizzando prestanomi in attività apparentemente legali". Nell'Agrigentino operano anche i clan nordafricani dediti organizzare e gestire traffici di migranti.