Il mistero si infittisce. Giulio Regeni non sarebbe stato ucciso in strada a scopo di rapina, così come si poteva ipotizzare dopo il ritrovamento del cadavere. Chi ha ucciso il 28enne ricercatore universitario,potrebbe averlo fatto in un appartamento de Il Cairo ed aver trasportato in un secondo momento il corpo sulla strada che dalla capitale conduce ad Alessandria.

La tesi degli inquirenti

La novità, divulgata alla stampa ieri sera, è il risultato delle prime indagini effettuate dall'autorità inquirente egiziana che è stato già trasmesso alla Procura della Repubblica di Roma.

L'informativa de Il Cairo parla chiaro, "non ci sono elementi che possano collegare l'omicidio di Giulio Regeni ad una rapina finita male". Se questa tesi venisse confermata, sarebbe anche lecito pensare a qualche brutto giro nel quale, in qualche modo, Giulio Regeni sarebbe stato invischiato. Ma dagli accertamenti degli investigatori non emerge nessuna attività illecita svolta dal 28enne friulano che, al contrario, avrebbe svolto una vita ritirata e le sue frequentazioni si sarebbero ridotte esclusivamente ai colleghi ricercatori. Le ultime notizie sono relative allo scorso 25 gennaio, Regeni aveva un appuntamento a cena fissato per le ore 20 al quale non è mai arrivato. In queste ore la polizia di Giza sta conducendo una serie di interrogatori su possibili soggetti coinvolti nel delitto.

I sospettati sarebbero addirittura 37, un numero esorbitante.

Resta in piedi la pista dell'omicidio politico

Dall'esame autoptico effettuato sulla salma da parte del professor Vittorio Fineschi all’istituto di medicina legale dell’università “La Sapienza” di Roma, emergono in maniera inequivocabile le torture subite dal giovane prima dell’uccisione.

La morte è stata causata dalla lesione del midollo spinale, un colpo letale che gli ha provocato anche la frattura di una vertebra cervicale. L'autopsia ha evidenziato che gli sono state strappate le unghie delle mani e dei piedi, con la successiva frattura delle falangi (il resto delle ossa degli arti risultano intatte). Gli è stato inoltre amputato un orecchio.

Sono segni di sevizie che solitamente vengono effettuate quando si vogliono ottenere informazioni a tutti i costi da qualcuno. Il tutto lascia pensare alle torture che le forze di polizia "non regolari" riservano alle presunte "spie" e questo ipotizzerebbe un movente politico nell'omicidio. Del resto Giulio Regeni lavorava anche come corrispondente de "Il Manifesto" anche se si firmava con uno pseudonimo. La sua attività di collaborazione con movimenti di opposizione all'attuale governo era inoltre nota. Tra le ipotesi avanzate, pertanto, anche quella di un coinvolgimento dei servizi segreti egiziani, il tanto temuto "Mukharabat" che non userebbe mezzi termini nella repressione dei presunti oppositori politici.

L'Egitto ha smentito un coinvolgimento del governo

Da Il Cairo si continua comunque a smentire seccamente, e non potrebbe essere altrimenti, un coinvolgimento dell'attuale governo nel delitto. Il ministro degli esteri egiziano, Sameh Shoukry, ha criticato aspramente l'operato di alcuni organi di stampa stranieri che "sarebbero saltati a facili conclusioni". Naturalmente non ci sono prove concrete ed oltretutto il ministro ha allargato il raggio, escludendo l'esistenza di azioni repressive del governo nei confronti di presunti oppositori politici. "Prigionieri politici in Egitto? Soltanto bugie", sono state le sue parole. Intanto la Procura di Roma ha chiesto con insistenza la consegna del cellulare del giovane accademico, praticamente svanito nel nulla.

Si sa per certo che poco prima della sua scomparsa, Giulio Regeni aveva chiamato un amico italiano, Gennaro Gervasio. Ma accanto al cadavere non è stato ritrovato nessun telefono. Il pc invece è in mano all'autorità giudiziaria italiana.