Si avvia all'epilogo il processo a carico di Massimo Bossetti per la morte della tredicenne di Brembate Yara Gambirasio: il 13 maggio 2016 il Pubblico Ministero, la dottoressa Letizia Ruggeri, ha esposto la sua requisitoria, in un'aula affollata, come spesso è accaduto per questo processo, in quanto la morte di Yara Gambirasio ha profondamente colpito l'opinione pubblica. Il PM Ruggeri ha sottolineato la complessità delle indagini, apparse da subito molto impegnative ed anche costose.
Il codice genetico
In questo processo peserà come un macigno l'esame del dna rinvenuto sugli abiti di Yara Gambirasio.
E' quell'esame, più volte contestato dai legali di Massimo Bossetti, che ha portato in carcere il carpentiere di Mapello. Per quanto riguarda il dna, il PM Ruggeri ha spiegato che il fatto che non si sia potuto stabilire con certezza se la traccia da cui fu estratto fosse sangue non «inficia il risultato identificativo». In aula era presente anche l'imputato. Secondo la ricostruzione proposta dal PM, Yara Gambirasio fu prima stordita e cioè colpita alla testa e poi ferita con vile accanimento, mentre non risulta ancora chiaro se sia salita sul furgone di sua spontanea volontà o se sia stata costretta a farlo con l'uso della forza.
Le aggravanti
Per quanto riguarda le circostanze aggravanti che sono contestate a Massimo Bossetti, esse sono la "minorata difesa" e l’aver «adoperato sevizie e aver agito con crudeltà».
Quest’ultima è un’aggravante che comporta la pena dell’ergastolo. La Ruggeri ha drammaticamente ricostruito le ultime ore di Yara Gambirasio, morta per il freddo e per le ferite da arma da taglio dopo ore di lenta agonia, abbandonata nel campo di Chignolo, dove fu trovata solo tre mesi dopo la sua sparizione. Inizialmente si sospettò di un operaio extracomunitario, ma si trattò solo di un banale errore di traduzione.
L'esecuzione dell'arresto di Bossetti fu un'operazione "spettacolare", le cui immagini sono state trasmesse dai telegiornali, in quanto Massimo Bossetti fu arrestato mentre si trovava sul luogo di lavoro, in un cantiere. Nell'occasione sembrò spaventato e fin dalla fase iniziale della detenzione si lamentò della vita da detenuto, pubblicando anche una "lettera aperta" sul quotidiano "Il Giorno" di Milano.