Ottanta morti in Afghanistan, Isis rivendica la strage.Anche l'azzurro cielo di Kabul si è tinto di rosso nella calda mattinata del 23 luglio e ha assistito sgomento al quadro desolante della morte.
Nel quartiere di Dehmazang, mentre era in corso una manifestazione convocata da esponenti della minoranza degli hazara, etnia di lingua persiana e di religione sciita, insediata soprattutto nell'Afghanistan centrale, da sempre fortemente discriminata nella realtà socio-culturale di questo paese, probabilmente tre uomini, dei quali uno indossava il burqa, hanno dato avvio all'ennesima scena di orrore.
La dinamica degli eventi
La prima esplosione sarebbe stata provocata da un kamikaze. Inesploso un secondo ordigno, perché difettoso, mentre il terzo attentatore sarebbe stato ucciso dalle forze dell'ordine.
Questa la diabolica strategia jihadista del terrore. Eco di grida disperate, scene di giovani vite spezzate, immagini di corpi mutilati, entrate ormai nella nostra quotidianità. E si assiste impotenti, mentre cresce la paura di un terrorismo singolare per la sua imprevedibilità, sia che si tratti di episodi isolati che di attacchi ben pianificati.
Ancora vittime innocenti: donne, uomini, bambini in marcia verso la rivendicazione del loro diritto a una vita migliore.
La manifestazione era motivata, infatti, dal progetto governativo di dimezzare la fornitura di energia elettrica nella provincia di Bamyan, dove vivono prevalentemente gli hazara, per la creazione di una linea d'alta tensione che dovrebbe collegare la capitale afghana con il Turkmenistan.
Dopo quattro ore di marcia, l'inferno. Sarebbero 80 i morti e 231 i feriti.Immediata la reazione del presidente Ashraf Ghani, che ha espresso con parole accorate, la sua condanna. Anche i talebani, prontamente, hanno negato qualsiasi loro responsabilità nell'attentato.
L'Isis rivendica
Con un dispaccio inviato all'agenzia di Amaq, l'Isis ha rivendicato tempestivamente l'attacco che, già nelle sue modalità d'esecuzione, appariva marcatamente jihadista.Ci si interroga sulle motivazioni che hanno presieduto a un'azione terroristica nei confronti di questa comunità povera e inerme.
Nella logica delirante del califfato la comunità sciita rappresenta una minaccia, perché considerata apostata, ovvero contraria alla propria religione. Ma è radicata in tutti i sunniti questa convinzione ed è proprio tra loro che l'Isis fa proselitismo. Ancora una volta una propaganda pseudoreligiosa, a cui sono sottesi in realtà interessi economici, fa strage di vite umane.E così, mentre ancora non si è spenta l'eco della strage di Monaco, forse imputabile alla follia di un solo uomo, il mondo osserva nuove immagini che stigmatizzano il crescendo della strategia del terrore.