Se dopo la constatazione che il Mediterraneo, a parte la seconda guerra mondiale, ha mietuto più vittime nel corso di questo secolo, Papa Francesco non si ferma e continua a mettere al centro del suo ministero questa attualissima questione di umanità. Pure la Politica sembra iniziare a interessarsi alla tematica, anche se per guadagnarsi non tanto una nuova prospettiva d'integrazione e, perché no, occupazionale, bensì per riscuotere qualche vittoria con i potenti di altri paesi. Basti guardare le richieste di aiuto più volte ignorate del governo italiano da parte degli altri influenti leader europei, che ora stanno pagando sul piano politico e non solo il prezzo delle loro scelte scarsamente lungimiranti.

Martedì 20 settembre, dopo ormai innumerevoli richiami, è stato nuovamente papa Francesco a chiedere un sempre nuovo impegno riguardo alla situazione migratoria. Lo ha fatto durante il meeting interconfessionale che come ogni anno si svolge ad Assisi, sottolineando come di base nessun Dio tolleri la violenza, né l'emarginazione: «Il nome di Dio può giustificare solo la pace santa, non la guerra». Concetto semplice ma al tempo stesso forte, che può addirittura apparire fuori luogo, ma in grado di cogliere tutta l'emergenza con cui siamo chiamati a fare i conti e ripartire, considerando il forte grido che l'immigrazione ci rivolge, una richiesta di aiuto, di fronte alla quale nulla può legittimare l'indifferenza.

Una persona che arriva senza affetti, senza una lingua comune, senza documenti, altro non è che lo specchio di un'ingiustizia di fronte alla quale ci siamo troppo spesso girati dall'altra parte. Perdono, accoglienza, collaborazione ed educazione. Parole laiche, queste, che il Papa ha rivolto ai credenti cristiani ma con la speranza che queste possano travalicare qualsiasi confine religioso e diventare così il nuovo vocabolario per un’umanità migliore.

Non un monito di fede dunque, ma una presa di coscienza che implica il superamento di posizioni che ostacolino il pieno rispetto della vita e della dignità di esseri umani abitanti lo stesso pianeta, ma nati in stati diversi. Come tradurre tutto ciò in concreto? Questa è la sfida che è già iniziata... e la parola non spetta solo alla politica.