Quante volte è stata ripetuta in questi giorni, dopo il terribile 24 agosto che ha portato via quasi trecento vite e distrutto alcuni dei borghi più belli d'Italia, l'affermazione "Che bravi gli italiani in emergenza, ma quando l'emergenza passa, tutto torna come prima"? Questo è un po' il presupposto da cui è partito anche l'intervento che Renzo Piano, noto architetto e senatore a vita, ha tenuto ieri 29 settembre in Senato, parlando circa il previsto piano "casa italia".

Vorrei occuparmi di casa

Renzo Piano ha prospettato una soluzione che viene mormorata da tempo: quella cioè di effettuare un piano di ricostruzione che non sia solo pensato per l'hic et nunc, ovvero solo per tamponare le necessità seguite all'ultimo terribile sisma, ma che si a in grado di garantire un futuro più sicuro a tutti gli italiani.

La casa è la base del nostro vivere civile, ha detto Piano, è ciò che in una pianificazione nazionale deve venire prima di tutto. I terremotisono eventi catastrofici e imponderabili, ma c'è qualcosa che l'uomo può fare ed è prevenire. I due strumenti indicati dall'architetto sono la diagnostica e la cantieristica leggera.

Rischiamo di essere eredi indegni

Senza scadere nel luogo comune, il senatore ci ha ricordato la reale grande bellezza dell'Italia, che non è fatta di grandi realtà ma di piccoli monumenti, chiese, borghi, opere che si dipanano lungo tutto l'arco dell'Appennino, dal nord al sud. Quest'area è anche quella più sismica: ma attraverso un intervento capillare, fatto di lavori che vadano a sopperire alle carenze strutturali attraverso un'analisi condottacaso per caso, potrebbe essere possibile evitare nuove tragedie.

Solo nel secolo scorso in Italia sono morte circa 160 mila persona a causa di terremoti, ma non è detto che debba essere così anche in futuro.

Possibile e reale

Le parole di Renzo Piano suonano piene di buon senso, con una chiosa finale necessaria. Affinchè tutto questo sia possibile è necessaria una grande organizzazione centrale che coordini il tutto.

Il lavoro sarebbe tale da autofinanziarsi, generando economia. Ma quale Governo si impegnerebbe in un piano di lavori che duri cinquant'anni, che non sia fonte di voti (come lo sono invece le grandi opere) e di visibilità? Domanda la cui risposta potrebbe venire nei prossimi giorni, quando sapremo se davvero siamo di fronte ad una svolta epocale, o se così come è successo in passato le popolazioni colpite dal terremoto dovranno attendere invano che le promesse fatte frettolosamente sull'onda della commozione vengano rispettate.