Il Tribunale dei minori di Milano si è finalmente espresso circa l'adottabilità del figlio della tristemente nota "coppia dell'acido", dando parevole favorevole e mettendo fine quindi, almeno per il momento, ad una battaglia iniziata dai due e dai rispettivi famigliari affinché il piccolo rimanesse con loro.

Le motivazioni della sentenza

Il figlio di Martina ed Alexander deve vivere lontano dal pesante passato dei genitori: è questa in sintesi la motivazione primaria che ha indotto i giudici a prendere una decisione così forte, e che ha già fatto muovere i legali della Lovato per una richiesta di appello.

Ad aggiungersi a tutto ciò anche la dolorosa decisione di interrompere le visite di genitori e nonni, che fino ad ora si effettuavano con regolarità presso una casa famiglia di Milano - dove vive il piccolo - alla presenza di psicologi. Una decisione drammatica ma che si spiega anche alla luce dei gravi reati commessi dalla coppia, che ha lanciato in faccia e sul corpo di alcune persone - excompagni della Lovato -delle sostanze corrosive, procurandogli lesioni permanenti.

Nella sentenza si legge che: "il piccolo non deve sopportare il peso di pesanti ipoteche", un riferimento molto chiaro a quello che è il già futuro in carcere per entrambi i genitori: fino a trenta anni di carcere per la Lovato e per il suo compagno perfino oltre i quaranta.

Inadeguati anche i nonni

Una decisione presa con molta attenzione, soppesando anche le copiose relazioni pervenute dagli esperti, che hanno presenziato a tutte le visite - oltre 12 mesi - non solo dei genitori del bambino, ma anche dei parenti più affini, ovvero nonni materni e paterni, che hanno fatto richiesta d'incontro.

Parole molto dure, forti che dipingono la Lovato come una persona che non ha mai provato ad entrare veramente in sintonia con il figlio, non ascoltando le sue richieste o i suoi desideri; da quello che emerge dalle relazioni sembra che Martina sia legata più ai suoi interessi che non a quelli del bambino.

Per il padre invece il quadro è ancor più triste, dipingendolo come un soggetto privo di empatia.

La conclusione è quindi solo una: l'adozione. E neanche le figure dei familiari sembra aver convinto gli psicologi; infatti sembra che durante gli incontri tra il piccolo e i nonni, il bambino sia più volte caduto in un torpore - che spiegano gli psicologi - è uno strumento di autodifesa per alienarsi da persone non gradite, momenti che poi finivano subito nel momento in cui subentrava l'educatrice con la quale il bambino tornava subito sveglio e sorridente.