La vita di Jeroen Oerlemans è finita in un istante, come finiscono gli uomini, le donne e i bambini ai tempi dell'Isis: morto sotto il fuoco di un cecchino al soldo del sedicente Stato islamico a Sirte, Libia.Non servono buone referenze per salvarti la pelle. Questo lo sapeva bene anche lui, inviato speciale e affermato fotoreporter di guerra di 45 anni, che havissuto una vita lavorativa sul filo del rasoio tra Afghanistan, Siria e Libia.

Ha percorso le rotte dei migranti per documentarne la fuga disperata, talvolta finta, verso l'Europa.

Oerlemans morto da uomo libero, Cantlie vivo daostaggio

Oerlemans aveva superato lo shock del rapimento del suo collega: sequestrato insieme al giornalista inglese John Cantliee poi rilasciato dopo pochi giorni. La stessa sorte non è toccata al reporter britannico, da allora divenuto ostaggio "comodo" per Daesh, ingaggiato come divulgatoredella propaganda del terrore, pena la sua stessa morte.

Intrecci di vite vissute di corsa, nella scottante passione per il giornalismo di guerra che segna una nuova vittima tra i suoi migliori professionisti. Il paradosso ai tempi del califfato nero è palese: Oerlemans muore da uomo libero. Cantlie vivedaprigioniero. L'unica parafrasi ammessa dai jihadisti: se non sei con l'Isis muori, e Cantlie ne è la prova vivente.

Un limite facile da varcare, quello della libertà in territori caldi come la Libia. Difficile scampare a un agguato, più facilechiudere gli occhi e dimenticare la libertà, solo per restare vivi.

John Cantlie è il "non morto" del giornalismo, un uomo la cui esistenza si è annullata giocoforza in quel 2012 che è stato l'anno della morte della sua esistenza "all'occidentale".

Ora si trova costretto a condurre documentaricreati dall'Isis, solo per sopravvivere a morte certa in caso di ribellione.

Nessuno paga il riscatto

C'è una folta schiera di opinionisti che ritiene Cantlie consenziente nella decisione di fare propaganda allo Stato islamico. Un'altra realtàsembra, invece, la più accreditata: né Gran Bretagna né Stati Uniti pagano il riscatto per gli ostaggi di Daesh.

Lo stesso Cantlie, in un recente numero del mensile Dabiq, la rivista di propaganda jihadista, obietta contro questo atteggiamento ostracista dei due Stati della coalizione, che mette in pericolo la vita dei suoi connazionali presi in ostaggio dai miliziani. Una sorta di appello velato ad essere liberato dalle forze occidentali per le qualilui stesso ha pagato il pegno più grande, la sua libertà.

Di Cantlie non si sa molto, appare di tanto in tanto in video che documentano i danni causati dai raid anti-Isis e spesso descrive la società filojihadista come unica dimensione sociale possibile. Probabilmente la sua vita resterà nel limbo dell'insipida illusione che la sua patria, un giorno, pagherà per la sua liberazione.