Difficilmente i più giovani ricorderanno la piccola JonBenét Ramsey, uccisa all'età di soli sei anni, all'interno della propria abitazione la notte di Natale del 1996, a boulder, Colorado.

Di recente il caso è tornato alla ribalta per via di un nuovo documentario su Netflix.

All'epoca invece fu un autentico tormentone mediatico, data l'età della giovane vittima, data la natura efferata del crimine stesso e visti gli immediati sospetti sui genitori.

Non di poco conto, quindi un giudizio morale che polizia e stampa contribuirono a formare nell'opinione pubblica, fu che la bambina era una piccola miss, che aveva partecipato e vinto numerosi concorsi di bellezza.

Tutto inizia la sera di Natale 1996, la famiglia Ramsey cena con degli amici, ma già alle 21 è di ritorno presso la propria villa perché il giorno dopo devono partire per il Michigan a trascorrere qualche giorno di vacanza. JonBenèt già dorme in macchina e questo viene confermato anche dal fratellino Burke in un interrogatorio della polizia.

Rientrati, tutta la famiglia va a dormire. La mattina successiva, alle 5.30, la madre Patsy Ramsey si alza, chiude le valigie e poi scende verso la cucina al primo piano. Sulle scale vede dei fogli, li raccoglie e si accorge che si tratta della lettera di malviventi, in cui si annuncia che JonBenét è stata rapita e se i genitori vogliono vederla ancora viva, devono attendere una loro telefonata fra le 8 e le 11 della mattina successiva e non chiamare la polizia.

Patsy corre nella stanza della bimba e in effetti la piccola è sparita. Sveglia la famiglia e con il padre decidono di chiamare la polizia, che arriva dopo 7 minuti. Sono due agenti di pattuglia, di cui uno fa il giro intorno alla casa, il secondo ispeziona l'interno. Entrambi non trovano tracce né della bambina, né dei rapitori.

Questo dato è fondamentale perché influenzerà tutte le indagini successive: il fatto che non ci fossero impronte sulla neve, fece decidere ai due che non esistesse alcun rapitore e i colpevoli erano i genitori. Da questo pregiudizio muoverà tutta la vicenda investigativa.

Quando giunge la detective del dipartimento della polizia di Boulder, Linda Ardnt chiede al padre di fare un giro della casa per cercare elementi utili e Ramsey, nello scantinato, rinviene il corpo della figlia.

Scantinato che era già stato perlustrato dal primo agente di pattuglia intervenuto sul posto.

JonBenèt è stata colpita con forza alla testa, violentata e strangolata per depistaggio, questo desume l'anatomopatologo. E sarà la teoria - errata - che la polizia di Boulder porterà avanti, a carico dei genitori, per altri dodici anni, non avendo nel contempo abbastanza prove per processarli.

In realtà, si è scoperto di recente, che già due settimane dopo l'omicidio, la polizia sapeva che il DNA trovato sotto le unghie e sulle mutandine di JonBenèt scagionava qualsiasi membro della famiglia, ma il documento fu tenuto nascosto all'ufficio del Procuratore.

Non solo, dopo mesi di vari tentativi per risolvere il caso, il Procuratore, resosi conto che il locale dipartimento di polizia aveva condotto delle indagini approssimative (la scena era stata inquinata dato che nessuno l'aveva delimitata, le foto scattate non erano state ben analizzate), chiamò in aiuto Lou Smit, il miglior poliziotto del Colorado, il quale partito per confermare i sospetti dei colleghi, divenne uno dei maggiori accusatori della polizia di Boulder: 1) non c'era neve nel vialetto che costeggiava la casa dei Ramsey; 2) c'era una finestra rotta nel seminterrato, spalancata, sotto cui c'era una valigia e l'impronta di un piede sopra; 3) sulla schiena e il viso di JonBenét si notavano due coppie di bruciature che sembravano il chiaro segno lasciato da un teaser, oggetto che non sarebbe servito ad un genitore per convincerla ad andare nel seminterrato.

Ma soprattutto, e le ultime analisi fatte con strumenti più avanzati lo attestano, il DNA dell'aggressore non apparteneva ad un maschio caucasico, ma ispanico.