Il video diffuso il 23 gennaio dagli inquirenti italiani, in cui Giulio Regeni viene filmato di nascosto dal capo del sindacato dei venditori ambulanti del Cairo, Mohammed Abdallah, racconta alcune verità, ma lascia aperti molti dubbi. Il girato, messo a disposizione della pubblica opinione e trasmesso per la prima volta dalla tv egiziana Sada El Balad, dura circa 4 minuti e 30 secondi. Si tratta di una breve sintesi del colloquio avvenuto tra i due. Secondo i magistrati romani la microcamera fu fornita ad Abdallah dalle autorità egiziane, in seguito ad una denuncia di spionaggio arrivata dallo stesso capo degli ambulanti.
Nel video si sente Regeni che, esprimendosi in arabo, sembra confermare la sua buona fede nel cercare di ottenere fondi per aiutare lo sviluppo del sindacato. Abdallah, invece, vorrebbe un ‘premio’ in denaro per sé e per la moglie malata di cancro. Sarebbe stato il netto rifiuto di Giulio, sospettano i pm, ad innescare la spirale di vendetta che lo ha portato alla morte. Non la pensano però così alcuni media egiziani come Veto Gate che, sul suo sito online, parla di un accordo per ottenere informazioni in favore della Gran Bretagna. E anche la riluttanza nel concedere interviste da parte dei professori dell’Università di Cambridge, per la quale il ragazzo italiano conduceva la ricerca, non convincono fino in fondo.
L’onestà di Regeni messa in dubbio da alcuni media egiziani
Dunque, secondo il pm Sergio Colaiocco, il video in suo possesso dal 7 dicembre scorso smentirebbe decisamente la versione ufficiale del Cairo secondo la quale il ‘sospettato’ Regeni venne monitorato solo per tre giorni, dopo la denuncia di Abdallah avvenuta il 7 gennaio 2016.
Le immagini risalirebbero al 6 gennaio, un giorno prima, e il capo degli ambulanti è in possesso di una microcamera (montata nel bottone della giacca) in dotazione alle forze dell’ordine del presidente Al Sisi. Quindi, la polizia egiziana era già informata, non si sa da quanto, dell’esistenza e del tipo di attività svolta da Giulio.
Nel video si sente Regeni negare ad Abdallah i soldi messi a disposizione dalla fondazione Antiope, perché “il denaro non è mio, non posso usare i soldi per nessun motivo perché sono un accademico e sulle relazioni all’istituto britannico non posso scrivere che voglio utilizzare questo denaro a titolo personale”. Una risposta chiara alle pressanti richieste del capo degli ambulanti che, a suo dire, avrebbe la moglie malata di cancro e bisogno di soldi per pagarle le cure. Secondo Regeni di denari per gli ambulanti potrebbero arrivarne anche di più ma, in cambio, dice, “bisogna cercare di avere idee e ottenere informazioni prima del mese di marzo” allo scopo di soddisfare i “bisogni del sindacato”.
È la parola “informazioni” a suscitare la reazione di Abdallah e l’interesse morboso dei servizi di sicurezza del rais?
Fatto sta che 19 giorni dopo, il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario della rivolta di piazza Tahrir del 2011 contro il dittatore Mubarak, Giulio Regeni scompare nel nulla. Il suo corpo martoriato verrà ritrovato solo 9 giorni dopo, al bordo di un’autostrada, proprio vicino ad una famigerata caserma delle forze di sicurezza. Un messaggio? L’esito di una lotta interna tra servizi egiziani? Intanto, nonostante il video, alcuni organi di stampa cairoti avallano l’ipotesi che Regeni fosse una spia. È il caso del sito online del quotidiano Veto Gate in cui si legge che “il video mostra i dettagli di un accordo tra Regeni e un rappresentante dei venditori” per ottenere informazioni a beneficio della Gran Bretagna in cambio di denaro.
Uno stravolgimento totale del senso del discorso di Giulio. Sullo sfondo della vicenda anche il dubbio, avanzato tra gli altri da Pierfrancesco Curzi sul Fatto Quotidiano, di un presunto patto Roma-Cairo per far tornare in Egitto il nuovo ambasciatore, Giampaolo Cantini, in cambio della consegna di due pezzi piccoli della polizia cairota come capri espiatori del caso Regeni.