Una sentenza di assoluzione dall'accusa di violenza sessuale ai danni di una donna che non avrebbe chiesto aiuto. La vittima non ha urlato, lui è stato assolto. L'episodio destinato a restare negli annali della cronaca giudiziaria è avvenuto a Torino. Un operatore della Croce Rossa, accusato di aver violentato una collega sul posto di lavoro, è stato assolto dal giudice Diamante Minucci con una particolare motivazione.
La donna non ha chiesto aiuto, assolto
Un'interpretazione dei fatti contestati che ha destato parecchie polemiche, quella del giudice Minucci che ha assolto un operatore della Croce Rossa di Torino da ogni accusa di abusi sessuali a suo carico.
A denunciare la violenza una sua collega che si sarebbe limitata a dire "Basta" senza cercare un aiuto con urla e richiami di soccorso. Tra le motivazioni della sentenza, per la quale il fatto non sussiste, si legge che la vittima non avrebbe "tradito quella emotività che pur doveva suscitare in lei la violazione della sua persona".
La donna risponderà di calunnia
Da vittima a imputata: la donna che ha accusato il suo collega di averla stuprata rischia un'incriminazione per calunnia. Dovrà rispondere davanti al giudice di quanto dichiarato a carico dell'uomo, in virtù del fatto che la prima sezione penale ha trasmesso gli atti al pm non ritendo verosimile la ricostruzione della donna. Sempre nelle motivazioni della sentenza di assoluzione si legge che la vittima "non grida, non urla, non piange e pare abbia continuato il turno dopo gli abusi".
A motivare ulteriormente il giudice Minucci c'è anche, nero su bianco, il fatto che l'accusatrice "non riferisce di sensazioni o condotte spesso riscontrabili in racconti di abuso sessuale", collegandosi a quanto dichiarato da numerose vittime di stupro: senso di sporco, dolori all'apparato genitale e test di gravidanza sarebbero tratti comuni non pertinenti alla fattispecie in questione
Dal canto suo la donna ha dichiarato di aver provato "disgusto", senza riuscire a spiegare il malessere dovuto alla violenza e di non aver urlato in quanto davanti a situazioni di pericolo si blocca, per sua inclinazione caratteriale. Il peso del silenzio della donna, mantenuto dopo la presunta violenza subita, si è riversato sulla sentenza e ha fatto pendere la decisione del giudice in favore del presunto aggressore.