Conosciuta con il soprannome di "infermiera killer", era stata condannata all'ergastolo nel processo di primo grado perché ritenuta colpevole di aver iniettato una dose letale di potassio a un'anziana paziente, Rosa Calderoni, di 78 anni, la mattina dell'8 aprile 2014. Secondo l'accusa, subito dopo si fece un selfie con accanto il cadavere della donna. Ora però la Corte d'Appello di Bologna ha completamente ribaltato la sentenza dei giudici di primo grado e ha assolto Daniela Poggiali, 45 anni, perché il fatto non sussiste. Determinante è stata una perizia.

L'ex infermiera dell'ospedale Umberto I di Lugo, nel ravennate, che fu licenziata in tronco per il suo "vezzo" di farsi selfie con pazienti in coma, sospettata di 38 omicidi e indagata per un'altra decina di morti sospette, è tornata in libertà. La Corte ne ha disposto l'immediata scarcerazione. Ieri sera verso le 20 è uscita dal carcere della Dozza di Bologna dove era detenuta dall'ottobre 2014.

La lettura della sentenza

"Sì, sì": alla lettura della sentenza da parte di Alberto Pederiali, presidente della Corte d'Appello d'Assise di Bologna, l'ex infermiera ha esultato ed è apparsa euforica, a differenza del marzo 2016 quando i giudici di Ravenna l'avevano condannata all'ergastolo, pur essendosi sempre proclamata innocente.

I figli della vittima, invece, si erano invece allontanati dall'aula mezz'ora prima della lettura della sentenza per la tensione emotiva accumulata.

Nella motivazione della sentenza di primo grado, il giudice Corrado Schiavetti l'aveva descritta "fredda, intelligente e spietata". Un angelo della morte, insomma, che neanche sapeva più quanti pazienti avesse ucciso.

Sull'immaginario collettivo e secondo la difesa anche sulla "suggestionabilità" dei giudici di primo grado, ha inciso quella serie di selfie che l'infermiera si fece accanto a pazienti in coma, o morte, in un letto d'ospedale. Ora la nuova sentenza, in base a una perizia, dice sostanzialmente che non ci sono prove per dimostrare che l'anziana paziente sia morta in base a iniezione letale di potassio.

La scarcerazione

All'uscita dal carcere di Bologna in serata, capelli biondi cortissimi e t shirt bianca su jeans e scarpe da ginnastica con buste gialle tra le mani piene di tutte le sue cose, attesa da fotografi, giornalisti, oltre che dall'ex fidanzato e dalle due sorelle, ha detto che finalmente le è stata resa giustizia. Era stata dipinta per quello che non è e vuole riprendersi la sua vita.

La perizia

Sono stati proprio i giudici d'Appello a disporre nel marzo scorso una perizia medico-legale per fare luce su cosa sia realmente accaduto la mattina dell'8 aprile 2014. Da essa è emerso che se non si può dire che l'anziana paziente sia morta per patalogie pregresse, quali diabete e problemi cardiaci, il quadro clinico della paziente era solo in parte compatibile con una somministrazione di potassio a livelli letali.

In soldoni, in base ai nuovi strumenti scientifici usati, non si può dimostrare che l'anziana deceduta abbia subito un'iniezione letale. Cruciale poi è stata prioprio la testimonianza della figlia dell'anziana Rosa Calderoni, a scagionare l'imputata. Secondo la figlia, la Poggiali è stata l'ultima a vedere sua madre in vita per darle delle cure. La morte dell'anziana è avvenuta dopo 60 minuti. Tempo incompatibile con l'iniezione di cloruro di potassio a livello giugulare che ne avrebbe provocato l'immediato arresto cardiorespiratorio. Se l'iniezione fosse stata fatta dal piede, l'anziana avrebbe dovuto avvertire forti dolori, ma alla figlia non lo disse. La Procura potrà fare ricorso in Cassazione.