Dalle pagine del quotidiano "La Repubblica", a firma del giornalista Francesco Merlo, arriva una vera e propria riflessione di Criminologia. Merlo parla dell'uso, o dell'abuso, del mezzo di stampa per informare i lettori sui casi di Cronaca Nera. Il giornalista si riferisce al recente omicidio della giovane Noemi Durini, allo stupro avvenuto a Rimini e ad altri noti casi. L'analisi mediatica che ne fa è certamente stimolante. Vediamo cosa ha detto, o meglio cosa ha scritto.

Noemi Durini: la trappola di Chi l'ha Visto?

Il fatto, o i fatti in questo caso, sono sotto gli occhi di tutti.

Si tratta dei più efferati e recenti casi di cronaca nera che hanno riempito e riempiono le pagine dei giornali e i salotti della tv. E' giusto informare naturalmente, ma Merlo si chiede, e ci chiede, quanto sia giusto scendere nei dettagli. Comincia quindi riferendosi all'omicidio di Noemi Durini, la sedicenne uccisa a Specchia lo scorso 3 settembre. Parla del servizio in diretta della trasmissione di "Chi l'ha Visto?". Prima ancora che la magistratura informasse i genitori del ragazzo reo confesso, è stato il programma di Rai3 a divulgare il fatto per immortalare la reazione dei due alla notizia del ritrovamento del corpo di Noemi e della confessione di Vincenzo. Merlo arriva a definire quella di "Chi l'ha Visto?" una trappola, con lunghe inquadrature sullo sgomento e sul dolore dei protagonisti.

Una gogna mediatica non utile alle indagini o al caso in sé, ma ad esclusivo uso e consumo dello share.

Rimini: dalla notizia dello stupro allo stupro della notizia

Merlo passa poi ad analizzare la scelta di altri importanti quotidiani di pubblicare i verbali dello stupro avvenuto a Rimini la notte tra il 25 e il 26 di agosto.

Quei verbali, dice Merlo, li avevamo anche noi, eppure non ci è mai passato per la mente di pubblicarli. Dettagli terrificanti, che inducono quella che in criminologia si chiama vittimizzazione secondaria. La vittima, in questo caso le vittime, dello stupro, oltre ad aver subito un trauma inimmaginabile, dopo averlo dovuto raccontare agli inquirenti ricostruendo ogni singolo gesto, sono costrette a rivivere attraverso le pagine dei quotidiani la loro esperienza, sbandierata con dovizia di particolari a tutta Italia.

E davvero non c'era bisogno di farlo, aggiunge Merlo. Ci sono altre cose, conclude, che sono più importanti e vanno fatte. Si riferisce alle indagini della magistratura, o alle operazioni di polizia. Tutte cose che però non vanno fatte su Rai3 o su Canale5. Perché in quel caso la necessità non è quella di far sapere. Un conto è informare su un fatto di cronaca, un conto è scendere nei dettagli più intimi e terribili.

Il ruolo dei media nella cronaca nera: il parere dell'esperta Giusy La Piana

Abbiamo raggiunto la criminologa e giornalista Giusy la Piana, esperta di comunicazione e scrittrice, alla quale abbiamo rivolto una domanda molto importante. Ecco la sua risposta.

Dottoressa, data la sua esperienza nell'analisi della comunicazione sui media, ritiene che sia utile informare con dovizia di particolari il lettore o lo spettatore sui dettagli più cruenti di un caso?

"Bisogna fare attenzione a non generalizzare. Talvolta è necessario divulgare dettagli raccapriccianti al fine di soddisfare una reale esigenza informativa, ossia quando determinate descrizioni o immagini particolarmente forti rappresentano il solo modo per fare acquisire la notizia alla collettività. Mi vengono in mente, ad esempio, le torture nel carcere irakeno di “Abu Grhaib”. In quell'occasione l'immagine era il contenitore stesso della notizia. Non si trattava più di generiche accuse di abusi nei confronti dei detenuti. La pubblicazione di quelle immagini esplicite di torture sottraeva quella vicenda a un probabile insabbiamento raccontando a tutti noi da una parte le atrocità e le umiliazioni subite dai detenuti, e dall'altra l'espressione goliardica dei soldati aguzzini mentre tutto ciò avveniva.

Invece la scelta giornalistica di raccontare i dettagli di uno stupro, come è avvenuto nel caso di Rimini, nulla ha a che vedere con l'esigenza informativa o con preminenti motivi di interesse pubblico. Quegli articoli infarciti di dettagli minuziosi e brutali sono utili soltanto ad alimentare la morbosità del lettore o a sconcertarlo. Forse sarebbe il caso di attenersi un po' di più al "Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica" il cui articolo 8, riguardante la tutela della dignità della persona, recita: "Salva l'essenzialità dell'informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell'immagine".

Un commento di cui la ringraziamo e che riassume perfettamente il ruolo di un bravo giornalista.

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