Una diagnosi tutt’altro che allarmante, “semplici” calcoli renali. Ad aggravare il quadro clinico, però, potrebbe essere stato un possibile errore di valutazione. Errore che è stato costato la vita a una donna di 49 anni.

Il 6 marzo del 2013 la 49enne si era recata al pronto soccorso dell’ospedale civico di Palermo per sottoporsi alle cure del caso. I sanitari accertarono la presenza di un solo calcolo e decisero di firmare le dimissioni. Le condizioni della donna, però, sembravano peggiorare ora dopo ora al punto da rendere necessario un secondo ricovero appena tre giorni dopo.

I medici si sarebbero resi conto che le condizioni della donna stavano “precipitando”, ma quando hanno preso coscienza della delicatezza della situazione era ormai troppo tardi. La paziente morirà poco dopo, al termine di disperati tentativi di rianimarla.

La condanna

Il giudice della terza sezione civile del Tribunale di Palermo ha condannato l’azienda ospedaliera Arnas Civico-Di Cristina Benfratelli al risarcimento per 600mila euro. Stando a una consulenza richiesta dal pm in sede processuale, la donna poteva essere salvata. Successivi accertamenti, infatti, hanno permesso di appurare che in realtà la paziente versava in condizioni ben più gravi di quelle originariamente diagnosticate con un "rene sinistro aumentato di volume”.

Secondo la relazione tecnica del medico legale e dell’urologo la causa della morte risiede in uno shock settico dovuto alla dilatazione dell'uretere e - stando sempre al parere dei consulenti - già al primo accesso in ospedale, donna era in condizioni di "pericolo"

'Un atto di imperizia e di imprudenza'

Un quadro clinico che, per i consulenti, non consentiva in alcun modo di procrastinare il ricovero e le dovute attenzioni alla paziente.

Un “atto di imperizia e di imprudenza - commentano i tecnici - che ha fatto perdere del tempo prezioso”. Le condizioni della donna al secondo ricovero erano già troppo gravi per pensare di intervenire con successo. Lo stato di Salute era già notevolmente compromesso al punto da rendere inutile ogni tentativo di rianimazione e di trasferimento ad altre strutture sanitarie.

I familiari hanno ottenuto il risarcimento in sede civile per 600mila euro in seguito alla condanna da parte del tribunale civile di Palermo e si sono detti pronti a proseguire l'iter processuale in sede penale, assistiti dal loro legale, l'avvocato Giuseppe Badolato.