Antonella Barbieri, donna di 39 anni, ha ucciso la figlia di due anni Kim e il fratellino di cinque Lorenzo Zeus, tentando poi il suicidio, venendo in seguito sottoposta ad arresto nella tarda serata del 7 dicembre 2017. Ricoverata nell'ospedale di Reggio Emilia, la donna ha rifiutato le cure in un primo momento, accettandole in seguito. Sono state avviate le indagini seguite dai carabinieri del nucleo operativo di Guastalla; per lunedì mattina, è in programma la convalida dell'arresto, e la donna potrebbe essere in grado di affrontare l'udienza davanti al giudice, prevista in ospedale a Reggio Emilia, luogo in cui la donna è ricoverata.
La donna è accusata di duplice infanticidio e l'arresto è stato ordinato dal Pm di Reggio Emilia Maria Rita Pantani che, in collaborazione con la Procura di Mantova, coordina le indagini dei militari. Secondo quanto ricostruito sin qui la madre, che soffriva di problemi psichici, nella tarda mattinata di ieri ha ucciso la figlia Kim, soffocandola con un cuscino e poi lasciandola coperta nel letto matrimoniale della casa di Suzzara dove viveva col marito Andrea Benatti, ex rugbista della nazionale italiana. E' stato l'uomo a ritrovarne il corpo, in seguito, insieme ai carabinieri. La tragedia ha avuto inizio la nel mattino, con la donna che, provvista di un coltello da cucina, è uscita in auto con il primogenito Lorenzo Zeus e ha raggiunto un argine del Po in una zona sperduta, nella località di Fogarino, accoltellandolo e commettendo il primo omicidio.
Nel primo pomeriggio c'è stato il secondo omicidio, la figlia di poco più di due anni è stata soffocata. In seguito un pastore ha notato l'auto in sosta, ha visto la donna ferita con l'arma ancora piantata nella pancia, e ha chiamato i soccorsi. Sentita dagli investigatori, avrebbe confessato, ma le sue parole continuano ad essere molto confuse..
Dichiarazioni dei parenti informano che Antonella Barbieri diceva in passato di sentire delle voci che la spingessero a farsi del male. Chiese anche a un sacerdote di benedire la sua abitazione. È stato il marito, Andrea Benatti, 38 anni, ex giocatore di rugby con qualche presenza in Nazionale, il primo a confermare i problemi psichici di cui aveva sofferto e soffriva la moglie.
La famiglia lo descrive come un uomo distrutto dal momento in cui una telefonata gli ha cambiato la vita mentre rientrava a casa dal lavoro. A sostenerlo è anche Federazione italiana del rugby che, in un messaggio via Twitter, ha voluto far sapere il proprio affetto all’ex giocatore.
Tutto la grande famiglia del rugby italiano si stringe all'Azzurro #Italrugby Andrea Benatti in questo tragico momento #Luzzara pic.twitter.com/qAnO48Hml2
— Italrugby (@Federugby) 8 dicembre 2017
Uccidere il proprio figlio: tra diritto e criminologia
Il diritto distingue tra infanticidio e omicidio. Si parla di infanticidio, secondo l’articolo 578 c.p., quando l’uccisione avviene durante o dopo il parto, nelle condizioni di abbandono materiale e morale.
Si parla di omicidio, invece, in particolare nell’articolo 575 c.p., quando un genitore uccide il figlio che può essere anche un neonato, ma senza le condizioni previste nell’articolo precedentemente citato, che non sempre, però, sono facili da individuare. La criminologia, pone una differenza sulla base dell’età della vittima. L’uccisione nell'arco delle 24 ore dalla nascita è chiamata neonaticidio, l’infanticidio interessa la fascia temporale che intercorre dal primo giorno di vita al compimento del primo anno di età, ed infine il termine figlicidio si utilizza per i bambini uccisi dal primo anno di vita in poi.
E' davvero possibile pensare di uccidere la propria prole? Moventi, cause e psicologia
Leggere notizie come questa, non può che destabilizzare l'uomo comune e muoverlo nella pensiero, portandolo a riflettere su come sia possibile realmente uccidere il proprio figlio, arrivando, spesso, alla conclusione che un pensiero omicida riguardante la propria prole sia del tutto impensabile. Dunque, per rassicurarsi di fronte a tragedie come queste, e renderle il più lontano possibile dalla propria psiche, la prima motivazione valida inerente al figlicidio è sempre quella di natura congenita, quindi relativa ad un disturbo psichico che giustifichi la condotta deviante. Le ricerche condotte nel campo della psicologia, tuttavia, appurano che la tesi secondo cui alla base di tragedie come l'infanticido sussista un disturbo psicologico non siano sempre esatte, e che le cause scatenanti di episodi di questa natura possano essere rintracciabili anche in soggetti con una totale o parziale assenza di disturbi di natura psicologica.
Dunque, ciò che crediamo sia così distante dalla nostra quotidianità, dai nostri pensieri e dalla nostra psiche, non è estraneo al nostro essere in quanto esseri umani pensanti e soggetti ad un'emotività che, spesso, muove dei pensieri all'interno della nostra mente che non gradiamo, che destabilizzano e che, costantemente, tentiamo di rimuovere. Nella psiche dei genitori si fa spazio un pensiero relativo alla possiblità di poter fare del male alla prole in maniera volontaria, respingendo immediatamente il pensiero. Pensieri come questi accomunano il genere umano, rendendolo sensibile e vulnerabile all'ambiente e al contesto in cui vive. Più che alla struttura del funzionamento psichico di un determinato individuo che commette un omicidio, dunque, è più appropriato allargare la prospettiva e studiare l'infanticidio come un fenomeno complesso, multi-causale che può essere messo in atto da soggetti con disturbi psichici, tanto quanto da soggetti con un funzionamento psichico normale, considerando che il rapporto individuo-ambiente può essere determinante nello scatenare comportamenti violenti come questo.
Quindi, a volte, la patologia non sta solamente nella persona, ma anche nell’ambiente familiare e nelle sue dinamiche.Lo psichiatra americano First ha definito il Disturbo Relazionale, dove ad essere malato non è il singolo individuo, ma un gruppo di soggetti e la relazione che sussiste tra loro. E', dunque, possibile che un soggetto se isolato dal contesto non risulti patologico. La malattia mentale, quindi, si espande alla relazione, dove non è più il soggetto ad essere patologico, ma è la relazione ad essere patologica per il soggetto.
Analisi psicologica del figlicidio
Un'utile definizione di cosa sia il fenomeno del figlicidio è stata proposta da Resnick - psicologo statunitense contemporaneo - che ha definito il figlicidio come l'uccisione dell prole dal primo giorno di vita in poi.
Studiosi e psicologici hanno affrontato il tema dell'infanticidio analizzandone i moventi e le possibile cause da ricercare, una tra le prime classificazioni e distinzioni sistematiche è stata avanzata proprio da Resnick, che sviluppò una classificazione sistematica per tipologie del figliocidio basandosi sulle maggiori motivazioni che possono sottostare all’agire materno, suddividendole in cinque categorie: il figlicidio altruistico, tipica della madre "ossessiva" che protegge il figlio da ogni genere di incolumità; il figlicidio psicotico, tipico deli soggetti affetti da psicopatologia grave o depressione post-parto; il figlicidio del bambino non voluto, quando la funzione materna è un obbligo; il figlicidio accidentale, quando il comportamento della madre è negligente; il figlicidio come vendetta verso il coniuge (Sindrome di Medea), quando il bambino è usato come mero strumento per imputare sofferenza al proprio partner.
I profili da cui queste tipologie scaturiscono sono stati esemplificati in maniera descrittiva e sistematica, tuttavia non è sempre possibile rintracciare delle caratteristiche che determinino il figlicido, infatti, come afferma Felicity De Zulueta - psichiatra occupatasi di aggressività - in un suo scritto sulle origini della violenza e dell'aggressività, l'origine della violenza è di per sé traumatica in quanto tutti i comportamenti violenti poggiano le proprie basi su due fondamenti: traumi, abusi e deprivazione fisica e morale risalente all'infanzia, e il prodotto che da questo scaturisce, rendendo la vittima un puro strumento su cui riversare il proprio trauma. Dunque, l'analisi del figlicidio si fa più complessa se consideriamo che l'infanticidio raramente sia conseguenza di psicopatologia psichiatrica grave e, soprattutto, che nel passato delle madri infanticide quasi sempre è possibile rintracciare un passato di relazioni primarie all'insegna dell'abuso e della deprivazione emotiva e fisica.
Le considerazioni degli studiosi sui fattori che influiscono nel fenomeno dell'infanticidio sono differenti e ne studiano aspetti diversi. Psicologi, criminologi e altri studiosi, però, si trovano d'accordo su alcune teorie emerse da ricerche e letteratura contemporanea, condividendone presupposti teorici e pratici. Uno dei casi più famosi e ricorrenti di figlicidio, condiviso dagli esperti, è relativo a quello accidentale, qui l’intento non è quello di uccidere, ma è il maltrattamento del bambino e la conseguente negligenza della madre. Questa tipologia di figilicidio prende anche il nome di Batter Child Sindrome. La categoria del figlicidio accidentale è la più grande o la seconda più grande nei campioni studiati nella letteratura scientifica.
Spesso, le madri che commettono un figlicidio di tipo accidentale hanno un disturbo di personalità, una bassa intelligenza, sono irritabili e incapaci a mantenere un lavoro stabilmente. Grande importanza ha il maltrattamento nell'infanzia del genitore figliocida. Le esperienze traumatiche segnano nella psiche dell'individuo un attaccamento di tipo insicuro-ambivalente, che dalla prima infanzia lo segnerà, confrontandosi nelle relazioni in maniera confusa e nutrendo problemi di tipo psico-sociale.
Non è possibile, dunque, stilare un profilo psicologico che corrisponda alle caratteristiche e ai tratti del genitore figlicida: spesso alla base sussiste un disturbo psichiatrico, a volte il contesto di vita è il fattore che agevola il figlicidio.
Sarebbe più utile, tuttavia, analizzare il figlicidio come fenomeno complesso, in cui il tutto è più della somma delle parti che lo compongono, un intreccio dinamico e relazionale tra individuo, comportamento e ambiente, in cui ogni fattore è causa e risultato.