Poco incline ai compromessi l’esito di Bruxelles sul caso Uber: è un’applicazione per il servizio di mobilità, e spetta agli stati membri regolamentarlo in tal senso. Lo ha decretato la Corte di giustizia dell'Ue. L’attività di tramite tra conducenti non professionisti erogata dalla applicazione online deve ritenersi esclusa dalla categoria della libera distribuzione dei servizi e anche delle normative Ue sui servizi e sul commercio elettronico.

La sentenza dell'UE

Da settimane si attendeva la sentenza dell'UE sul caso Uber, e finalmente è arrivata.

Stando a quanto decretato dai giudici di Lussemburgo della corte europea il lavoro d'interconnessione come quello di Uber, che mette in comunicazione via app a fronte di un pagamento autisti non professionisti che utilizzano mezzi propri, con clienti che cercano di effettuare uno spostamento, va considerato inevitabilmente legato a un servizio di mobilità e facente parte pertanto del segmento di ‘servizio nel settore dei trasporti’.

Non è possibile quindi applicare le normative vigenti per la libera prestazione dei servizi e neanche per il commercio. È dunque delegato agli stati membri il compito di stilare delle norme in conformità delle direttive UE.

Chiara l’idea corte: è evidente che il servizio erogato da Uber non è esclusivamente un’offerta d'intermediazione dato che il fornitore presta al contempo un'offerta di servizi di trasporto cittadino.

Uber infatti è necessario sia per gli autisti sia per i clienti che hanno intenzione di effettuare uno spostamento, oltre che esercitare un'influenza marcata sulle condizioni della prestazione fornita dagli autisti stessi.

Quali conseguenze per il peer to peer?

A seguito di questa decisione dell’UE l’aspetto più delicato dell’intera questione non è certamente il futuro di una singola azienda, ma le conseguenze come precedente di una sentenza del genere.

Le nuove tecnologie informatiche e le applicazioni peer to peer hanno dato il via a una nuova modalità di erogazione dei servizi crowd-based, che si basa su una massa di fornitori non professionisti. Ne è venuto fuori un mondo caleidoscopico di proposte e offerte che ha rimodellato a fondo la distinzione tra mercati e gerarchie, secondo un range che va dalla semplice comunicazione tra agenti economici autonomi e indipendenti fino a nuove forme di gestione dei servizi e dei beni capitali.

Questo vuol dire che quanto vale per Uber potrebbe non essere valido per le altre piattaforme della sharing economy. Ma, oltre al fatto che a fornire il servizio sia la applicazione o il singolo, inserire queste nuova realtà ai modelli professionali e alle loro regole significherebbe chiudere gli occhi davanti al processo di riorganizzazione dell’attività economica che è ormai in atto. Il vero aspetto che necessità di regolamentazione delle nuove forme economiche è invece stabilire regole chiare a tutela degli utenti in un contesto in cui la linea di confine tra separazione personale e professionale è rimessa in discussione, indicando correttamente le responsabilità ed evitando che venga delegato il rischio d’impresa, effetto che spesso si cela dietro la retorica del sistema peer to peer.

Adam Smith e la mano invisibile

Siamo qui di fronte a un problema filosofico che specialmente negli ultimi secoli pone dubbi e riflessioni. Fin dove può lo stato interferire con le attività economiche? Fino a che punto si può parlare di “mercato libero” e dove finisce questa libertà? Una precisa corrente filosofica si è posta in maniera chiara questi interrogativi, ed è il liberismo, di cui uno dei padri è Adam Smith, con il suo celebre concetto di “mano invisibile”.

“Mano invisibile” è una metafora che indica il fatto che il singolo, pur avendo come fine dell'attività economica l’interesse proprio, arriva senza rendersene conto a promuovere il benessere economico di tutta la collettività nella quale è inserito.

In altre parole il singolo, pur essendo mosso da interessi personali, agisce senza averne il fine, per il bene dell'intera collettività. Ad esempio si pensi a un imprenditore che investe capitali in un'attività industriale con il solo fine di avere dei guadagni, cioè ricercando il proprio vantaggio individuale. Pur non avendone l'intenzione, agisce però a favore della collettività: procura lavoro agli operai, diffonde sul mercato beni utili, rende più ricco il proprio paese consentendo che circoli denaro per l'acquisto delle merci prodotte.

Sostanzialmente questa è una delle teorie di fondo della mentalità capitalistica. È evidente come ingerenze dell’UE nei casi del peer to peer mal si sposino con questo tipo di mentalità che è ben accolta negli ambienti delle start up e dell’economia 2.0.

In effetti ripensando il caso Uber, l’applicazione riusciva a fornire un servizio a delle persone e del lavoro ad altre persone, facendo così per molti qualcosa di positivo. Tuttavia questo tipo di azione ha leso la concorrenza tradizionale che si è vista privare di una ingente fetta di mercato, e che ha trovato nelle sue rimostranze all’UE l’appoggio dei governanti, che quindi hanno preferito adottare una posizione conservatrice, piuttosto che invitare le vecchie strutture ad adeguarsi al cambiamento dei tempi. È un problema spinoso al quale è difficile trovare una risposta equilibrata, progresso e snellimento delle leggi e delle procedure, o controllo più determinato con obbligo di adattamento in una mentalità conservatrice e garante dello status quo? Probabilmente Adam Smith avrebbe optato indubbiamente per la prima scelta, ma così non ha fatto invece l’UE.