Il sapere ha il suo sapore. La formula di Ambaradan, pizzeria milanese sita nei pressi di Corso Sempione, è una rivoluzione nella filosofia del marketing. Soverchiando le normali procedure in cui a ogni piatto è associato un corrispettivo in denaro, nella pizzeria di Paolo Polli è il cliente a scegliere il conto in relazione al proprio tasso di soddisfacimento.

Come un TripAdvisor reale, un fitto intreccio di prodotti e valutazioni incastra la sua tela sino a formare una piramide gerarchica dai tre livelli di gradimento: migliorabile, buono, eccellente.

Così una pizza può costare 5, 6, 7 euro a seconda della soglia di apprezzamento che l’avventore manifesta dopo aver consumato le pietanze offerte e aver goduto del servizio prestato dal personale di sala, anch’esso rientrante negli schemi di giudizio che plasmano il prezzo finale.

Salta fuori in questo modo un menù personalizzato per ogni tavolo, in cui il conto è variabile a seconda dell’esperienza goduta dai clienti dell’Ambaradan, oscillando tra una soglia minima e una massima che concorrono a dare un prezzo e una misura al lavoro.

Il gestore ha evidenziato come l’idea sia sorta mediante l’esperienza personale permeata dalla necessità di vedere i proventi del proprio lavoro crescere proporzionalmente alla qualità e, d’altra parte, ricevere un segnale inequivocabile se il percorso prestabilito subisce deviazioni che allontanano lo scopo principale: soddisfare il cliente.

La formula di Ambaradan porta sulle tavole un elemento imprescindibile, il merito, che, lungi dall’essere un prodotto rigorosamente autoriferito, è lasciato al libero arbitrio di chi è chiamato quotidianamente a plasmare le figure del personale e a fornire loro uno stimolo per raggiungere livelli sempre più elevati.

Il puntum dolens consiste soprattutto nella possibilità di incorrere in situazioni incresciose ad opera dei furbetti, i quali potrebbero sminuire il loro gradimento in virtù di un pasto più economico; questo,tuttavia, non distoglie Paolo dall’intento di svolgere a dovere il proprio lavoro e coinvolgere nel progetto il suo personale a cui destina un premio produzione costituito dal surplus tra il prezzo di una pizza classificata come ‘buona’ e il suo prezzo reale.

La cultura del merito e il dibattito moderno

Il dibattito post-moderno ha introdotto il criterio meritocratico come anello di congiunzione in grado di unificare le conoscenze nozionistiche e tecniche con un impegno costante volto al miglioramento delle proprie competenze.

Il merito si presenta come forma distopica di governo e come elemento d’assegnazione dell’individuo nella società, in cui l’ipotesi di soggetti preparati e determinati attraverso una giusta propensione al lavoro sarebbe criterio di scelta dei migliori elementi nei rispettivi ambiti.

Il principio di giustizia sotteso alla meritocrazia è quello secondo il quale il proprio lavoro e l’impegno messo in atto per conseguire gli esiti, debbano necessariamente trovare una fonte di remunerazione o gratificazione che sia volano per il proseguimento dell’attività.

Il merito si presenta tuttavia avvvolto in un’aurea santificata, come se il suo avvento fosse la risoluzione alle problematiche che attanagliano la società, limitandosi a divenire una mera proposizione astratta: osannato dalle continue lodi e aspirazioni, sembra allontanarsi dalla realtà tangibile e l’impatto con essa propone due figure nettamente distinte. Da un lato troviamo un merito che si presenta valido nella sua realtà aprioristica; dall’altro una società variegata nei suoi caratteri particolari che non sembrano essere compatibili con un’applicazione sterile di un principio meritocratico, salvo che esso non sfaldi la sua componente metafisica e diventi operativo proponendo uno sforzo continuo finalizzato all’applicazione nella realtà tangibile.

L’errore è spesso quello di guardare ai provvedimenti ipotizzati per risolvere alcune problematiche nella loro dimensione sovrannaturale, come se una manna dal cielo portasse un nuovo metodo correlato al raggiungimento degli effetti desiderati, tralasciando il percorso e la fatica intermedia.

Il problema del merito diviene allora l’impatto con una realtà diversa dalle aspettative, non tralasciando le ipotesi formulate da alcuni critici che evidenziano la componente elitaria del merito stesso quale fonte di diseguaglianza: i requisiti richiesti sarebbero motivo di categorizzazione e l’esito sarebbe una riproduzione costante dei gruppi prescelti a sfavore dei restanti.

La soluzione: il merito soggettivo e la formula vincente

La soluzione in grado di rompere gli indugi e unificare le interpretazioni opposte, è l’analisi del merito visto nella componente soggettiva. Proporsi alcuni traguardi da raggiungere mediante un approcio meritocratico può essere una formula vincente, la stessa messa in atto dalla pizzeria Ambaradan, in cui i profitti sono collegati a una sfida contro se stessi che trascende da considerazioni superflue.

Il fine di svolgere al meglio le proprie mansioni nobilita il merito e lo allontana dalla chiave di lettura metafisica, impersonificandolo invece nell’impegno visto come chiave per ottenere i risultati desiderati.

La cultura del merito si trasforma in questo modo in un rifiuto di un appiattimento verso il basso, promuovendo invece il’miglioramento della normalità’ in virtù di una naturale componente adrenalinica.