Dopo la sentenza di condanna da parte della CEDU, il Consiglio superiore della magistratura (csm) ha elaborato nuove regole dedicate a giudici e tribunali per la tutela di vittime di violenze domestiche, di genere e femminicidi, i quali sono sempre più all’ordine del giorno.

Tutte le procure e i tribunali d’Italia sono tenuti ad avere una sezione dedicata a questi reati, i quali vengono gestiti a "trattazione prioritaria", in modo che la vittima possa sentirsi protetta dalle leggi che sono dalla sua parte.

Una vera novità tra queste regole avviene all’interno delle aule: la vittima non sarà più obbligata a testimoniare davanti al proprio carnefice, ma potranno deporre dando le spalle all’imputato, come avviene già per quelli che sono, ad esempio, i collaboratori o testimoni di giustizia.

Inoltre se il giudice lo ritiene opportuno, potranno essere utilizzati metodi alternativi quali la videoconferenza,che pare il miglior metodo.

Tutto ciò è volto a proteggere la serenità psichica della vittima cercando di emarginare il suo rapporto con il carnefice, ma come nasce questo rapporto?

Vittima-carnefice: gioco di ruoli instabili

Per comprende la formazione di tale relazione è opportuno citare la Sindrome di Stoccolma, la quale deve il suo nome a una rapina in banca avvenuta nel 1973 nella capitale svedese. Durante la fuga i due rapinatori presero in ostaggio quattro impiegate. La convivenza stabilì un legame tra le due parti, tale che dopo il sequestro nessuna di loro volle collaborare per l’arresto dei delinquenti, difendendoli anche durante la testimonianza nel processo.

Ma non solo, qualche anno più tardi una di loro si sposò con un rapitore. La Sindrome di Stoccolma è un particolare stato di dipendenza psicologica e affettiva che si manifesta nelle vittime che subisco violenza verbale, fisica e psicologica nei confronti del rapitore/carnefice.

Questo tipo di dipendenza si differisce dalle altre poiché essa si sviluppa nei confronti di una persona e non di una sostanza.

Questa caratteristica la porta ad essere più difficile da riconoscere e da contrastare rispetto alle altre. È facile notare che una persona vittima di dipendenza affettiva sopportai comportamenti che in altri casi non accetterebbe, questo genera spesso ansie o depressione. La vittima è una persona emotivamente fragile, che ha paura dell’abbandono e soprattutto di quello della persona che ama.

Tutto ciò denota un senso di inferiorità rispetto al partner. Questa situazione genera un maltrattamento da parte del carnefice nei confronti del compagno, ma riesce comunque a mantenere una reputazione positiva innescando un senso di colpa nell’altro, il quale si sente colpevole e giustifica così i maltrattamenti.

Paradossalmente Hegel sostiene la concezione del padrone- servo. Secondo lui, il padrone diventa dipende dal servo, in situazioni reali o ipotetiche, da un punto di vista sia materiale sia emotivo, spiegando il perchè i padroni siano sempre riluttanti a lasciare i propri servi. Avviene così anche nel rapporto vittima-carnefice, in cui la vittima ha una dose di potere nella relazione.

Il potere è quindi una medaglia a due facce. L’unico modo in cui il padrone può far sì di non diventare vittima è sottomettere l’altro e ottenere il sentimento del proprio valore nell’opprimere la vittima.

È quindi una situazione paradossale e delicata dove i ruoli sembrano ben definiti, ma in realtà il confine tra l’uno e l’altro è molto lieve, fino a quando la dipendenza affettiva della vittima non porti all’ annullamento della persona stessa, la quale resterà sempre legata al proprio carnefice. Per questo la precauzione presa dal CSM sembra poter proteggere e tutelare le vittime.