L'8 Marzo del 2014 il volo MH370 precipitò sulle acque dell'Oceano Indiano, al confine tra la Thailandia e la Malesia. Dopo ben quattro anni da questo fatale incidente che costò la vita a ben 239 persone, sorge una nuova ipotesi, ad oggi la più accreditata dagli investigatori che seguono il caso. L'ipotesi avanzata sarebbe quella di suicidio premeditato del pilota del Boeing 777 , molti degli indizi ritrovati sembrerebbero muovere gli inquirenti verso questa direzione.

Con questa ipotesi verrebbero quindi alla luce i motivi di varie incognite che la scomparsa di questo aereo aveva lasciato aperto, come la scomparsa dai radar e il perché dietro alla 'scelta' del punto d'impatto.

Il suicidio sembra essere inoltre slegato da ogni ipotesi di attacco terroristico in quanto, per quanto 'logico' potesse apparire, questo atto non è stato mai rivendicato da nessuna associazione terroristica appartenete ad alcun genere.

Una scomparsa organizzata

A riportare questa ipotesi sarebbe lo stesso Martin Dolan, colui che è stato a capo delle ricerche sottomarine riguardanti il caso fino alla loro chiusura due anni più tardi. Dolan riterrebbe infatti che il pilota di questo volo avrebbe dapprima eluso il veivolo ai radar, facendolo così 'scomparire' dai raggi di segnalazione perdendo, di conseguenza, anche il tracking della rotta dell'aereo. Secondo l'esperto infatti il suicidio pensato dal pilota Zaharie Amad Shah sarebbe stato un suicidio a lungo pensato e ben pianificato.

I rottami dell'aereo sono stati ritrovati lungo tutta la costa del Pacifico, e alcuni di questi sembrano farci da veri e propri testimoni dell'accaduto: grazie a questi 'reperti' ritrovati gli esperti hanno potuto appurare che l'aereo sarebbe sottostato al comando manuale del pilota fino ad un momento prima dell'impatto con la superficie; pilota che avrebbe anche depressurizzato la cabina passeggeri con il fine di far svenire i passeggeri che erano a bordo.

Anche Simon Harvey, un pilota inglese con una lunga esperienza di volo alle spalle, sembra sostenere questa tesi, aggiungendo inoltre che perfino il punto di impatto scelto dal pilota non sembrerebbe essere così casuale: il Boeing 777 infatti precipitò al confine tra Malesia e la Thailandia, punto che, stando a quanto affermato da Harvey, escluderebbe l'intervento da parte di entrambe le nazioni, permettendo così all'aereo di sparire 'indisturbato'.

Nonostante questa ipotesi venne inizialmente scartata dagli inquirenti, in seguito alle prove poco proficue emerse dopo la perquisizione delle case dei due piloti, ad oggi sembra essere invece quella più accreditata, anche dopo la messa in luce dei vari risultati delle numerose analisi.