Sulla base dei dati diffusi dal ministero della Difesa americano, quest'anno il numero delle vittime delle sparatorie nelle scuole degli Stati Uniti è più alto di quello dei militari americani uccisi mentre erano in servizio.
La dinamica
Sono le 8 del mattino nel liceo pubblico di Santa Fe, 60 km a sudest da Houston, quando Dimitrios Pagourtzis, 17 anni, inizia a sparare con un fucile a pompa. Non è ancora chiaro come e dove si sia procurato l’arma, ma potrebbe trattarsi del fucile detenuto legalmente dal padre. Sono stati inoltre trovati diversi ordigni artigianali sparsi in vari punti dell’edificio, fortunatamente inesplosi, che le autorità stanno provvedendo a disinnescare.
Il bilancio è di 9 studenti uccisi e un insegnante, più molti feriti. Fra i feriti anche un agente in servizio armato che ha affrontato lo studente limitando la strage, ma senza riuscire a impedirla. Ciò dimostra che una presenza armata, guardia o insegnante che sia, non basta a frenare i massacri, al contrario di quanto sostiene il presidente. Nel giro di pochi minuti sono arrivate sul posto numerose ambulanze, tre elicotteri e ingenti forze di polizia. La scuola è stata circondata e gli alunni che erano riusciti a fuggire sono stati immediatamente perquisiti.
La dinamica si ripete, è la stessa dei 22 episodi precedenti verificatisi dall’inizio dell’anno in scuole sparse in tutti gli Stati Uniti.
Come altri prima di lui, Dimitrios aveva studiato un piano che prevedeva il suicidio al termine della strage, atto che poi non ha avuto il coraggio di compiere. È stato fermato anche un possibile complice, che ora si trova agli arresti insieme a lui. Anche la presenza di un complice è un tratto comune nello svolgimento di stragi di questo tipo, raramente si tratta di lupi solitari.
L'assalitore
Nel frattempo emergono le prime indiscrezioni sull’identità del giovane: le pagine dei suoi account social mostrano una sua foto con una maglietta con le parole “Born to kill” (nato per uccidere) ed altre immagini di una lunga giacca verde recante simboli nazisti. Il ragazzo giocava nel team di football della scuola ed era membro della chiesa greca ortodossa.
Viene descritto come un ragazzo tranquillo e introverso, con una famiglia presente e che partecipava attivamente alle attività del giovane.
Solo una questione di 'Gun control'?
Trump e Melania hanno espresso via Twitter il loro dolore e le loro condoglianze. Il presidente ha poi condannato l'episodio come un "attacco terribile", ammettendo che "queste sparatorie sono andate avanti troppo a lungo" e che farà "tutto quello che è in mio potere per fermarle". Tuttavia finora non è stato fatto quasi nulla, anzi, ha promesso recentemente davanti alla Nra, la potente lobby delle armi, che la sua amministrazione difenderà il secondo emendamento della costituzione sul diritto all'autodifesa e ripresentando la sua idea di fornire armi gli insegnanti.
Ora dovrà affrontare nuovamente le marce e le proteste che il movimento studentesco ha organizzato nel paese e che potrebbe incidere sulle elezioni di Midterm. Gli studenti sopravvissuti al massacro di Parkland hanno già esternato il loro dolore e la loro indignazione sul web. "I nostri bambini sono uccisi e voi trattate questo come un gioco. Questa è la 22/ma sparatoria scolastica solo quest'anno. Fate qualcosa", ha twittato una di loro rivolgendosi a Trump.
La vendita, e soprattutto le leggi che regolano la vendita delle armi negli USA, è un problema del quale si discute da tempo, a partire dalla strage nella Columbine High School del 20 aprile 1999, che ha aperto la discussione riguardo il cosiddetto “Gun control”.
Tuttavia il problema deve essere affrontato da un punto di vista che vada più in profondità, analizzando le cause e i motivi che spingono questi adolescenti a compiere stragi sanguinosissime. La salute mentale e le patologie psichiche non hanno ancora spazio sufficiente nella coscienza collettiva per permettere di cogliere i segnali e gli indizi che risultano così chiari a posteriori, quando il fatto è ormai compiuto. Si parla di genitori e amici sgomenti davanti a queste manifestazioni di violenza, oppressi dal senso di colpa e dall’angoscia di non aver captato sintomi di un disagio così violento. Purtroppo però mancano gli strumenti e forse la sensibilità per farlo, in una società dove la malattia mentale è ancora considerata un tabù.