“Devo procurarmi un’arma. La prossima volta che la mamma prova a denunciarmi, le sparo in testa”. Dalle registrazioni effettuate con la microspia che i Carabinieri avevano piazzato, per un altro delitto, nell’auto guidata da Christian Fodde, emergono pian piano tutti i retroscena dell’orribile delitto di Manuel Careddu, per cui sono finite in cella cinque persone, di cui due minorenni. Nel mirino della banda sarebbe infatti anche finita la mamma del povero giovane ucciso, Fabiola Baraldi, che ha avuto solo la colpa di scoprire, almeno in parte, quello che poteva essere accaduto al figlio.

La donna infatti – qualche giorno prima che i cinque giovani fossero arrestati – si era recata dalla Polizia per denunciare la scomparsa di Manuel. E proprio ai poliziotti aveva fatto i nomi dei presunti assassini. Li aveva fatti perché qualcuno l’aveva messa sulla buona strada. Anche perché è stato accertato che per ben due volte – prima ancora che si sapesse qualcosa sul delitto – la donna si era recata sulle rive del Lago Omodeo. Come se stesse cercando qualcosa che potesse farle capire che fine avesse fatto suo figlio Manuel, ormai scomparso da giorni. Ed è proprio questo uno dei motivi per cui – ascoltando le registrazioni effettuate dai Carabinieri – i cinque killer avevano pensato di dare una lezione anche alla mamma di Mauel: “Perché parla troppo”.

Le bugie durante l’interrogatorio

Quando ancora si pensa che Manuel sia solo scomparso, gli inquirenti iniziano già ad avere i primi sospetti sul gruppo di amici del giovane, che vengono convocati dagli investigatori e interrogati: il primo giorno sono in tre e negano tutto. Negano di aver incontrato Manuel quel giorno, per saldare il debito di droga che avevano con lui.

Episodio confermato invece dall’autista del pullman, che ha detto di aver visto Manuel scendere dal bus e ha anche riferito che ad attenderlo c’era una ragazzina: G.C., la diciasettenne a cui Manuel sarebbe andato a chiedere i soldi della droga a casa della mamma. I due infatti – dopo un breve dialogo – si allontano insieme dalla stazione.

Particolare negato dai cinque che dicono soltanto di aver acquistato degli spinelli e di avere preso altre strade. “Noi siamo andati da una parte – si legge nelle carte dell'interrogatorio – e lui invece ha preso un’altra strada, nella direzione opposta”.

La ricostruzione del delitto

Gli investigatori ora hanno molte più certezze. Ed è anche questo il motivo per cui sia il giudice per le indagini preliminari del Tribunale minorile di Cagliari, che quello del Tribunale di Oristano, hanno confermato l’arresto in carcere dei due minorenni e dei tre ventenni. Nell’auto intercettata – all’incirca un’ora prima del delitto – si parla già di quello che accadrà nelle ore successive. Nella Fiat Punto ci sono Christian Fodde, il diciasettenne C.N.

e con ogni probabilità anche Matteo Satta. Il terzetto sta andando a controllare la zona dell’appuntamento con Manuel. Si assicurano che sia “pulita” e “non ci siano sbirri”. Poi preparano le armi del delitto: una pala, forse un piccone e anche una corda. “Quella è troppo grossa (la corda), così non lo uccidi”, si sente nelle intercettazioni. Poi Manuel viene fatto salire sull’auto, con la complicità della minorenne, che lo tranquillizza. Ma il giovane assassinato non è troppo convinto. Ed ha ragione perché poche ore dopo viene brutalmente ucciso. Secondo gli inquirenti c’è voluta circa un’ora e mezzo per uccidere e poi seppellire Manuel. Lasso di tempo in cui la microspia ha soltanto registrato il pianto e il singhiozzo di G.C., la diciasettenne che era rimasta in auto, in attesa che C.N e Christian Fodde facessero rientro, esattamente alle 23 e 53. Orario in cui Manuel Careddu era già stato probabilmente brutalmente ammazzato.