Circa 100mila persone si sono radunate ieri in piazza Syntagma, ad Atene, per protestare contro l’accordo sul nuovo nome di Fyrom, l’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, che, se ratificato dal Parlamento greco entro questa settimana, così come auspicato dal primo ministro Alexis Tsipras, ne modificherà il nome in “Repubblica della Macedonia del Nord”, abbreviato in “Macedonia del Nord”, abitata dai “macedoni”.

La notizia è rimbalzata sui media di tutto il mondo. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, l’attenzione è stata posta sulle dinamiche degli scontri di piazza piuttosto che sulle motivazioni del dissenso, largamente diffuso tra il popolo greco, per un accordo che rischia di gettare le basi per la costruzione di un falso storico.

L’Accordo di Prespa

L’accordo, noto come Accordo di Prespa, dall’omonimo lago situato al confine tra Grecia e Fyrom, è stato siglato lo scorso giugno dai primi ministri dei due paesi, Alexis Tsipras e Zoran Zaev. Dipinto dai più come un accordo che sancisce la fine di tensioni diplomatiche e dispute in corso sin dal 1991, anno della proclamazione di indipendenza di Fyrom, oltre che uno strumento che offre al Paese la possibilità di avviare le procedure di adesione alle organizzazioni internazionali e all'Unione europea, l’Accordo di Prespa viene fortemente contestato dai greci. Essi, infatti, anche sulla base di rivendicazioni a cui hanno già dovuto far fronte in passato, ritengono che l’accordo, utilizzando il nome “Macedonia”, crei una pericolosa sovrapposizione geografica, Politica e identitaria tra l’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia e la regione greca della Macedonia, erede del patrimonio artistico e culturale dell’antica civiltà greco macedone, di lingua e cultura ellenica, che raggiunse la sua massima espansione nel IV secolo a.C.

con Alessandro III, a cui furono attribuiti numerosi appellativi per indicarne le grandiose doti militari e diplomatiche, e pertanto noto come Alessandro Magno, Alessandro il Grande, Alessandro il Conquistatore.

La fiducia a Syriza

A seguito delle dimissioni del ministro della Difesa Panos Kammenos, di Anel, partito alleato del governo, che non condivideva le posizioni del governo relativamente all’accordo sul nome definitivo di Fyrom, il premier greco, Alexis Tsipras, ha chiesto la fiducia al Parlamento.

Mercoledì 16 gennaio, pur controllando solo 145 seggi, ha ottenuto la fiducia con una maggioranza risicata di 151 voti favorevoli su 300. Si trattava, tuttavia, di un risultato prevedibile, considerato il supporto garantito al governo da alcuni deputati di Anel, espulsi dal partito dopo aver annunciato di sostenere la ratifica dell’Accordo di Prespa.

Ad un appoggio da parte del Parlamento, però, non è corrisposto il sostegno del popolo greco che, diversamente, non approva la ratifica dell’accordo con il governo di Skopje e, piuttosto, chiede un referendum.

Gli scontri

“La Macedonia è una ed è greca”, hanno affermato con fervore i manifestanti, circa 100mila persone giunte ad Atene, in piazza Syntagma, da ogni parte della Grecia, in particolare dalle zone a nord est. Gli organizzatori hanno riferito che sono giunti in città ben 326 bus di manifestanti e che le bandiere bianche e blu sventolate fuori al Parlamento erano così tante da creare un’enorme onda di protesta dal colore blu. Non sono mancati gli scontri, anche piuttosto violenti, tra manifestanti e polizia.

Gli agenti in tenuta anti-sommossa hanno disperso con gas lacrimogeni i manifestanti incappucciati che lanciavano oggetti. Un giornalista è rimasto ferito. Il premier ha accusato i facinorosi di Alba Dorata, il movimento greco di estrema destra, di essersi infiltrati nel corteo e di aver provocato disordini, attaccando le forze dell’ordine e provando ad entrare nell’edificio del Parlamento. Ma è evidente che non fossero solo i nazionalisti a manifestare il proprio dissenso per l’appropriazione del nome “Macedonia” da parte del governo di Skopje.

La ratifica dell’accordo

Secondo i sondaggi si oppone all’accordo il 70% del popolo greco, un popolo già vessato dall’austerity e dalla crisi economica dell’ultimo decennio, un popolo che teme un governo “traditore”, un popolo che non vuole cedere alla depredazione della propria memoria storica, artistica e culturale e che non vuole rischiare le possibili rivendicazioni geografiche e storico-culturali di Skopje. La ratifica dell’accordo è prevista per questa settimana, ma si teme che ci saranno altri momenti di tensione.