Ci sono voluti quasi 31 anni, ma alla fine la verità su un delitto avvenuto la mattina del 9 ottobre del 1988 è venuta a galla. Quel giorno i clienti di un bar del centro di Gela trovarono dietro al bancone, ormai privo di vita, il proprietario, Giuseppe Failla, di 50 anni. Per molto tempo gli inquirenti avevano seguito la pista sbagliata, quella del racket delle estorsioni. Ma, dopo anni di buio fitto sull’episodio, questo "cold case" è stato risolto, grazie alle rivelazioni di alcuni pentiti, che hanno gettato una nuova luce sulla vicenda, facendola rientrare nell’ambito della guerra tra Cosa nostra e Stidda, che infiammava la Sicilia in quel periodo.

Queste novità nelle indagini hanno permesso di notificare le ordinanze di custodia ai due responsabili dell’assassinio, già da tempo in galera per altri reati.

Una sanguinosa guerra di mafia

Giuseppe Failla aveva rilevato da tre anni quel bar, situato in via Cadorna, a due passi dal municipio di Gela. Così gli inquirenti hanno pensato a lungo ad una ritorsione da parte di chi controllava il racket delle estorsioni nei confronti della vittima. Ma recentemente alcuni pentiti di mafia hanno chiarito che Failla, nato a San Cataldo, era un esponente del gruppo dei cosiddetti “stiddari selvaggi” e che il suo assassinio rientrava nella guerra di mafia che infuocava la provincia di Caltanissetta a cavallo tra gli anni ‘80 e ’90.

In quel periodo gli uomini di Cosa nostra si scontrarono duramente con quelli della Stidda per gestire in tutto il territorio le attività malavitose, legate in gran parte al traffico di sostanze stupefacenti ed alle estorsioni. In questa cruenta lotta per il potere, decine di esponenti delle due fazioni furono uccisi.

La vendetta per il delitto del padre

Rientra in questo duro scontro anche la morte di Giuseppe Failla: a tal riguardo i carabinieri del Ros, sotto il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, hanno notificato le ordinanze di custodia, negli istituti penitenziari di Torino e Como, ai due responsabili del delitto: Cataldo Terminio, di 53 anni, ed il 52enne Angelo Bruno Greco.

Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, il movente dell’assassinio va ricercato in un altro omicidio, quello di Nicolò Terminio, esponente di Cosa nostra e padre di uno dei due arrestati. L’uomo d’onore fu ammazzato a San Cataldo nel 1982 da alcuni appartenenti al gruppo degli “stiddari selvaggi”. Quindi sei anni dopo il figlio avrebbe organizzato la propria vendetta nei confronti di Failla, con il via libera del boss Giuseppe Madonia, capomafia nella zona.

Angelo Bruno Greco, rappresentante di spicco di Cosa nostra a Gela, ebbe il ruolo del basista nella spedizione punitiva; invece Cataldo Terminio fu accompagnato nella cittadina siciliana in auto da Angelo Palermo per freddare la vittima designata all’interno del bar.

Grazie a quanto raccontato dai pentiti, gli investigatori non solo sono riusciti a risolvere un giallo per troppi anni rimasto senza una valida spiegazione, ma hanno pure scoperto che era in corso il tentativo di riorganizzare una cosca mafiosa nella zona di Gela, sventando sul nascere questa pericolosa attività criminale.