Recentemente la Corte di Cassazione è tornata ad affrontare un tema molto delicato in uno Stato di diritto. Con l'Ordinanza 21916 del 30 agosto 2019 depositata in questi giorni, il Supremo Collegio ha stabilito, in estrema sintesi che, in tema di affidamento dei figli il giudice adito può adottare provvedimenti restrittivi delle libertà individuali dei genitori in relazione all'esercizio del diritto di libertà religiosa e insegnamento di questi ultimi nei confronti della propria prole solo se si accerti che dall'esercizio di queste ultime ci siano delle reali conseguenze pregiudizievoli per il minore che possano danneggiare il suo sviluppo e la sua salute psico-fisica.

Nello stesso tempo la Corte ha chiarito che per poter provare efficacemente quanto sopra è indispensabile basarsi sull'osservazione e l'ascolto del minore stesso.

I fatti che hanno portato al giudizio della Corte

I giudici del supremo collegio si sono trovati di fronte al caso di una coppia di coniugi separati che disputavano per il tipo di educazione religiosa da impartire al figlio. Infatti, nonostante in sede di separazione il giudice di prime cure avesse concesso l'affidamento congiunto del minore, con l'obbligo per l'ex marito di rilasciare un assegno di mantenimento di 600 euro al mese alla ex moglie, oltre alla partecipazione alle spese di istruzione del figlio, l'uomo ha espresso il proprio dissenso circa il fatto che il figlio ricevesse istruzione religiosa dalla madre che è Testimone di Geova.

Anche perché il bambino è stato battezzato come cattolico.

D'altra parte, il marito riteneva che il figlio avrebbe dovuto seguire i dettami della Chiesa Cattolica almeno fino alla Cresima. Tale richiesta era motivata dal fatto che, secondo il padre, in questo modo il figlio avrebbe potuto conoscere i fondamenti della fede cattolica e, da adulto, fare una scelta maggiormente consapevole.

In primo grado, il Tribunale di Como, visto il contrasto tra i genitori, ha deciso in base al disposto dell'articolo 337 ter del Codice Civile che quanto richiesto dal padre, in merito all'educazione religiosa, fosse nei migliori interessi del figlio minore. Nello stesso tempo, il Tribunale vietava alla madre di impartire al figlio qualunque tipo di insegnamento religioso della propria fede.

Di conseguenza, la donna ha proposto appello esclusivamente contro tale decisione relativa all'insegnamento della fede religiosa, di cui ha chiesto la sospensione e la revoca. La donna, infatti, ha sostenuto che l'ordine impartitole dal Tribunale di Como contrasta con i principi cristallizzati nella Costituzione italiana e contro la stessa laicità dello Stato. Nello stesso tempo, dato che non è stato individuato l'effettivo, concreto e grave pregiudizio che verrebbe arrecato al minore dall'insegnamento della sua fede religiosa, la decisione del Tribunale di Como contrasterebbe anche con il diritto comunitario e internazionale. D'altra parte, la Corte d'Appello non ha tenuto conto di tali rilievi e ha rigettato il ricorso della donna, confermando il giudizio di primo grado.

Di conseguenza, la stessa ha proposto ricorso per Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

Il Supremo Collegio ha ritenuto fondato il ricorso della madre. Il Giudice di legittimità ha infatti ricordato come in caso di contrasto tra i genitori in tema di affidamento dei figli debba sempre aversi riguardo al superiore interesse del minore e al suo diritto ad una crescita sana ed equilibrata. Di conseguenza, continua la Corte, il perseguimento di questo obiettivo può comportare l'adozione di provvedimenti contenitivi e restrittivi dei diritti individuali di libertà religiosa dei genitori, ma solo nel caso questa libertà determinerebbe delle conseguenze pregiudizievoli per il figlio.

D'altra parte, continua il Supremo Collegio, per prendere questa decisione il giudice di merito non può basarsi su un'astratta valutazione delle religioni dei genitori e che esprima un giudizio di valore sulle stesse.

Giudizio di valore, spiega la Corte, che risulta del tutto precluso all'autorità giudiziaria dalle norme costituzionali e convenzionali europee. Né tale giudizio di valore può basarsi ( come ha fatto erroneamente la Corte d'Appello) sulla decisione successiva di uno dei genitori di cambiare la propria fede religiosa. Questo perché adottando un tale criterio astratto secondo il Supremo Collegio si lederebbe il mantenimento di un rapporto equilibrato e paritario con entrambi i genitori e, nello stesso tempo, rimanendo insensibile alle scelte di vita in divenire dei genitori.

Di conseguenza, il giudice di merito per poter prendere scientemente dei provvedimenti restrittivi e limitativi della libertà individuale dei genitori in tema di insegnamento religioso deve accertare il verificarsi di concreti eventi pregiudizievoli per la salute psico-fisica e lo sviluppo del minore. E tale accertamento non può prescindere dall'osservazione e dall'ascolto del minore.