Nelle cause di divorzio e separazione civile uno degli argomenti più difficili e spinosi da affrontare è quello relativo al mantenimento dei figli, soprattutto sotto l'aspetto economico. Si tratta di una problematica che, essendo particolarmente delicata, viene disciplinata in sede penale.

Di solito, in questi casi è l'ex moglie a lamentare mancanze da parte dell'ex marito. A tal proposito, la sentenza n° 5236/2020 della sesta sezione penale della Corte di Cassazione depositata il 7 febbraio 2020, ha chiarito che il genitore obbligato a versare l'assegno di mantenimento dei figli concordato in sede di separazione giudiziale non commette reato se effettua dei pagamenti che abbiano un importo leggermente inferiore rispetto a quanto pattuito.

Mantenimento, i fatti all'origine della sentenza

La Suprema Corte di Cassazione si è trovata a giudicare sul ricorso presentato da un cittadino originario del Venezuela. Quest'ultimo, in sede di giudizio di fronte alla Corte d'Appello competente, era stato condannato per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare disciplinato dall'articolo 570 del Codice Penale. Questa norma punisce chiunque venga meno ai suoi obblighi genitoriali nei confronti della prole con una multa che può andare da 103 a 1.032 euro, oltre alla reclusione fino ad un anno.

Nel caso specifico, il cittadino venezuelano si era sottratto agli obblighi di assistenza familiare soltanto per un periodo limitato di tempo, ovvero da settembre a dicembre 2013.

In questo lasso di tempo, il ricorrente non aveva provveduto a versare l'intero importo dell'assegno di mantenimento stabilito giudizialmente in circa 1.100 euro. Questa cifra era stata stabilita tenendo conto del fatto che l'uomo era padre di tre figli tutti di minore età.

L'uomo, in sede di Corte d'Appello, aveva sostenuto che dopo la pronuncia giudiziale di divorzio con la quale era stato fissato anche l'importo dell'assegno, insieme all'ex moglie avevano raggiunto un diverso accordo stragiudiziale che consentiva al ricorrente di versare un importo diverso e inferiore rispetto all'assegno di mantenimento stabilito inizialmente dal Tribunale di primo grado.

Mantenimento, i motivi alla base del ricorso

La difesa del ricorrente padre venezuelano ha basato il proprio ricorso davanti alla Suprema Corte di Cassazione sostanzialmente su due soli motivi. In primo luogo, nella sentenza della Corte d'Appello si sarebbe configurata una violazione dell'articolo 43 del Codice Penale che disciplina il cosiddetto "elemento psicologico" del reato.

Questa disposizione chiarisce quali sono le caratteristiche del reato doloso, di quello colposo e di quello preterintenzionale.

La difesa ha ipotizzato la violazione di suddetto articolo, rammentando il fatto che nel mese di marzo 2012 gli ex coniugi avevano trovato un accordo stragiudiziale che rimodulava l'importo dell'assegno di mantenimento in 800 euro, a causa delle difficili condizioni di vita e lavorative del soggetto obbligato al pagamento. In virtù di questo nuovo compromesso, pienamente rispettato dal ricorrente, sarebbe venuto meno proprio l'elemento psicologico del reato contestatogli.

Da tutto quanto sopra deriva direttamente il secondo motivo alla base del ricorso presentato alla Corte di Cassazione.

La difesa, infatti, ha sostenuto che la sentenza della Corte d'Appello avrebbe violato anche il disposto dell'articolo 570-bis del Codice Penale. Questa disposizione disciplina la "violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o scioglimento del matrimonio". Si tratta di una norma che ha esteso quanto previsto dal precedente articolo 570 del Codice Penale alle condotte di natura più marcatamente economica.

Di conseguenza, giacché il ricorrente ha rispettato il successivo accordo stragiudiziale - che non era stato ratificato giudizialmente dal Tribunale - la difesa ha ritenuto che la sentenza impugnata fosse viziata da errore e contraddittorietà della motivazione.

Mantenimento, la decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto di dover accogliere le ragioni del ricorrente. In particolare, secondo il Supremo Collegio, sarebbe fondato il primo motivo di ricorso presentato dalla difesa del ricorrente, e di conseguenza avrebbe accolto anche la seconda motivazione.

La Corte ha richiamato una sua precedente decisione su analoga materia, in base alla quale è stato statuito che, in caso di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il Supremo Collegio non ritiene applicabili alla fattispecie le disposizioni contenute nell'articolo 570 del Codice Penale. E questo proprio nel caso in cui, come nell'attuale fattispecie, gli ex coniugi si siano attenuti a degli accordi, anche stragiudiziali, intervenuti tra gli stessi e, per di più, non formalizzati e ratificati giudizialmente.

L'unico motivo per cui, secondo la Cassazione, questi accordi stragiudiziali non possano espletare la loro efficacia, è dato dal fatto che contengano delle clausole chiaramente lesive degli interessi dei beneficiari o condizioni contrarie all'ordine pubblico.

Gli "ermellini", inoltre, hanno fatto notare come nei mesi contestati nella sentenza della Corte d'Appello il ricorrente abbia comunque effettuato dei versamenti a titolo di mantenimento. La somma corrisposta è stata di 770 euro, quindi leggermente inferiore a quanto stabilito nell'accordo transattivo stragiudiziale non omologato dal giudice che ha dichiarato la separazione e il divorzio dei coniugi.

Tenendo conto di tutto ciò, la Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: non è configurabile il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio di cui all'articolo 570-bis del Codice Penale qualora l'agente si sia attenuto agli impegni assunti con l'ex coniuge per mezzo di un accordo transattivo, non omologato dall'autorità giudiziaria, modificativo delle statuizioni sui rapporti patrimoniali contenute in un precedente provvedimento giudiziario.

Per tali motivi, la Suprema Corte ha ritenuto che, nel caso di specie, non potesse configurarsi il dolo da parte del ricorrente. Dunque la sentenza della Corte d'Appello è stata annullata. Di conseguenza, versare un assegno di mantenimento leggermente inferiore a quanto pattuito non costituisce reato.