Una matassa di relazioni tra Politica, imprenditoria, massoneria, forze dell’ordine e ‘ndrangheta. È il quadro reso dal collaboratore di giustizia Andrea Mantella nel maxiprocesso Rinascita-Scott nato dall’operazione del dicembre 2019 coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri. È la terza udienza che Mantella, anche in qualità di imputato, testimonia innanzi al collegio giudicante del Tribunale di Vibo Valentia presieduto da Brigida Cavasino con a latere i giudici Gilda Romano e Claudia Caputo. Nell’aula bunker allestita negli stabili in disuso della Fondazione Terina, a Lamezia Terme, su oltre 300 imputati ne erano presenti cinque, mentre circa 70 detenuti hanno seguito il processo in videoconferenza dai penitenziari nei quali sono ristretti.
Intanto il latitante Pasquale Bonavota ha scritto al Tribunale di Vibo Valentia una lettera in cui nomina l’avvocato Tiziana Barillaro quale suo difensore di fiducia.
Amaro del Capo, usura e lupara bianca
Il collaboratore di giustizia Andrea Mantella, oggi, da sito riservato ha risposto alle domande del pm Antonio De Bernardo iniziando a parlare delle attività imprenditoriali più vicine ai clan. “Le società di maggiore spessore – ha spiegato Mantella - sono Caffo, Amaro del Capo e Callipo. Per le forniture di frutta i punti di riferimento della grande distribuzione sono Ippolito e il proprietario della Latteria del Sole. Dai supermercati nascevano anche altre relazioni. Un esempio: l’avvocato Vincenzo Renda (imputato nel maxiprocesso) era il titolare dell’Eurospin di Vibo Valentia e aveva delle entrature nella Corte di Cassazione attraverso un suo parente.
Per me era uno sconosciuto, nel 2009 mi fu presentato da Gianfranco Ferrante per conto del boss Pantaleone Mancuso alias Scarpuni. Con Gianfranco Ferrante ero legato da un’amicizia storica, lui era intraneo al clan di Vallelunga di Serra San Bruno e della fazione ‘diplomatica’ dei Mancuso. Prese parte all’omicidio di Nicola Lo Bianco, brillante giovane figlio del defunto boss Carmelo Lo Bianco detto Sicarro, che si era fidato di lui ed era andato a un appuntamento trappola.
Vittima di lupara bianca, la querelle che portò alla sua uccisione era riconducibile a dei debiti contratti per costruire dei capannoni a Maierato. Nicola Lo Bianco infatti si occupava di usura per conto di Damiano Vallelunga e dei Mancuso, mandanti del delitto. Nei giorni successivi alla sua scomparsa, Ferrante che era responsabile della sua morte, faceva finta di essere solidale con la famiglia portando loro cibo, unendosi al loro dolore.
Rosario Lo Bianco e Antonio Grillo nel frattempo si stavano organizzando per vendicare la morte di Nicola, ma poi vennero convinti che Gianfranco Ferrante titolare del Cin cin Bar, non c’entrasse nulla. Con Ferrante e Salvatore Morelli collaboravamo per l’usura, gestivamo assegni, raccoglievamo i soldi delle estorsioni alle bische garantendo loro che non venissero rapinati. Quando ero ai domiciliari nella clinica Villa Verde di Cosenza mi veniva a trovare e attraverso lui comunicavo con i Vallelunga e i Mancuso con i quali era legato già dagli anni Novanta. Quando Lo Bianco andò a restituire i 15 milioni di lire ad Antonio Mancuso lui disse che comunque non c’era più nulla da fare perché Nicola era già stato ‘squagliato’.
So tutto perché sono cresciuto a casa di Carmelo Lo Bianco, era la mia seconda famiglia. Ferrante fa da sempre questo lavoro: dà i soldi agli altri usurai a 50 euro, all’ingrosso per così dire, che poi li prestano a 100/130 euro. È una sorta di broker: raccoglie i soldi delle famiglie più in vista della ‘ndrangheta vibonesi, in particolare Mancuso e Vallelunga. È come la Banca d’Italia”.
Massoneria al servizio della ‘ndrangheta per sistemare i processi
“Avevamo a nostra disposizione – ha dichiarato oggi in aula Mantella - il direttore sanitario di Villa Verde, dove ero ai domiciliari (grazie a una falsa perizia psichiatrica ndr), il figlio voleva un’Audi e subito gliela procurò Ferrante che era funzionale al 101% alle mie attività criminose.
Ma non solo. Ferrante sono certo che portò i soldi a Roma al professore-avvocato Alfredo Gaito, massone di primo livello, per sistemare qualche sentenza. Gaito era parte della loggia di Pittelli a cui si appoggiava la cosca Mancuso per le questioni giudiziarie. Il Cin Cin Bar di Vibo Valentia era il nostro luogo di ritrovo sicuro, bonificato da cimici e nel quale si parlava con la serenità di non essere intercettati. Lì facevamo dei summit, mi incontravo con Pantaleone Mancuso detto l’Ingegnere, con Francesco Mancuso alias Tabacco. Con Pantaleone Mancuso noto come Scarpuni invece in quel periodo non ero in ottimi rapporti, mi dava fastidio perché si era infilato nell’appalto pubblico del Palazzetto dello Sport di Ionadi dove invece io volevo intervenire”.
Mantella: “le entrature in magistratura funzionavano, fui scarcerato”
Le amicizie dell’avvocato Renda ammorbidiscono le richieste dei clan che per l’Eurospin volgiono solo: un piccolo “regalo” a Natale/Pasqua, qualche assunzione e le pulizie affidate alla ditta di Francesco Fortuna. “A chiedermi di trattare bene Renda – dichiara Mantella rispondendo alle domande del pm - era stato Pantaleone Mancuso detto Scarpuni per tramite di Gianfranco Ferrante. I posti di lavoro li decideva Salvatore Morelli che aveva fatto assumere due del clan Lo Bianco e la sua fidanzata Jessica Castagna che di fatto non faceva nulla al supermercato, andava solo a ritirare lo stipendio e firmare la busta paga a fine mese.
Eravamo stati buoni con lui perché ci avrebbe aiutato nei problemi con la giustizia. Le entrature in magistratura funzionavano tant’è che dopo Villa Verde riuscì anche a essere scarcerato nel 2009. Tornai a casa e ad aprile 2010 ero ancora in giro per Vibo Valentia, la Procura si appellò, riuscì ad ottenere un rinvio, persi poi il ricorso, ma nel frattempo avevo avuto un po’ di tempo per stare fuori. Era inevitabile che io ottenessi tutto quello che avevo chiesto, accalappiai Renda proprio perché aveva modo di influenzare l’andamento dei procedimenti in Corte di Cassazione. Ovviamente, come si suol dire, all’orto di Dio mangiano tutti. Anche altri quando avevano problemi chiedevano a Renda di intercedere con la giustizia.
Quando Renda aprì un altro Eurospin a Piano Lago, in provincia di Cosenza territorio nel quale non potevo fare estorsioni, provai a fare assumere qualcuno sempre con il metodo della Jessica: busta paga, stipendio, zero ore lavorate”.
L’elezione del consigliere regionale del PD Pietro Giamborino
I legami tra ‘ndrangheta e politica sono stati ricostruiti, in parte, nel corso dell’odierna udienza dal collaboratore di gisutizia Andrea Mantella. “Saverio Razionale – ha dichiarato Mantella - è un tipo che pur essendo fisicamente lontano sa sempre cosa succede nel proprio territorio. Giovanni Giamborino era il factotum di Saverio Razionale e della fazione di Luigi Mancuso, insieme al fratello Pietro Giamborino erano fedelissimi, sempre a disposizione.
Loro cugino Pino Galati mi ha sempre detto che erano ai piani alti della gerarchia ‘ndranghetista, tant’è che quando hanno formato il nuovo locale dei Piscopisani sono stati invitati, ma hanno declinato perché si erano spostati sulla massomafia e non gli interessavano i piccoli poteri comunali o provinciali. I parenti di Pietro Giamborino mi disse Razionale che andavano lasciati stare perché qualsiasi cosa servisse nella pubblica amministrazione lui ci avrebbe aiutato. Quando ci furono le elezioni mi prodigai a raccogliere voti per l’onorevole Giamborino, si parlava di lui come se fosse uno del nostro gruppo. Quando fu eletto era così fanatico che andava sempre in giro per Vibo Valentia con l’auto blu della Regione Calabria.
Piscopio era il suo paese d’origine i membri del clan dei Piscopisani erano tutti in contatto con Pietro Giamborino, dai giovani agli anziani, chiaro che non si facevano vedere in giro insieme. Giamborino si metteva d’accordo con tutti i criminali, anche i Fiarè. L’ex assessore regionale al Lavoro, Nazzareno Salerno era invece sostenuto da Ferrante per il tramite di Damiano Vallelunga. È una mafia bianca”.