Lavori pubblici pilotati da un affiatato gruppo di professionisti. Queste le accuse mosse agli imputati dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro diretta da Nicola Gratteri, rappresentata ieri presso il Tribunale di Cosenza dal pm Andrea Mancuso. Presunte irregolarità in opere di messa in sicurezza nel vibonese che sarebbero state strappate alla ditta aggiudicataria. Affidate a ditte vicine ai clan attraverso un ricorso al Tar, la cui pronuncia secondo l’ipotesi accusatoria, sarebbe stata influenzata per favorire un’associazione mafiosa.
L’ex assessore Pd della Regione Calabria Nicola Adamo e l’ex consigliere regionale calabrese del PD Pietro Giamborino si sarebbero attivati per far annullare, dal Tar di Catanzaro, l’aggiudicazione dei lavori di una gara affinché fosse l’azienda catanese del 34enne Giuseppe Capizzi a eseguire l’appalto da sei milioni di euro insieme a una ditta locale vicina ai clan.
Cinquantamila euro per una sentenza al Tar di Catanzaro
In cambio, per il “favore”, sarebbero stati corrisposti 50mila euro a Nicola Adamo. A fungere da mediatore con la politica del centrosinistra allora in carica, fu l’ingegnere 39enne Filippo Valia, nipote del consigliere Giamborino, il quale portò allo zio documentazione del consorzio Progettisti costruttori di Maletto (CT) di proprietà di Capizzi.
Il giudice al quale Nicola Adamo, su richiesta di Giamborino, si sarebbe rivolto, sarebbe Nicola Durante presidente di sezione del Tar di Catanzaro (da maggio 2020 al Tar di Salerno) il quale non risulta indagato.
Tribunale di Cosenza, prima udienza
Ieri mattina nell'aula 9 del Tribunale di Cosenza, risultato di competenza perché gli incontri avvennero agli svincoli autostradali di Cosenza e Altilia, si è tenuta la prima udienza del troncone del maxiprocesso Rinascita-Scott che coinvolge i due noti esponenti del PD calabrese: Adamo e Giamborino.
I quattro imputati, tutti a piede libero, sono accusati a vario titolo di traffico di influenze illecite aggravate dall'aver commesso il reato per favorire clan mafiosi. Il collegio giudicante presieduto da Carmen Ciarcia con a latere i giudici Francesca Familiari e Maria Teresa Castiglione ha accolto la richiesta di costituzione di parte civile presentata dall'associazione Libera alla quale si era opposta la difesa.
Aula bunker Lamezia Terme: Camillò muto, Mancuso continua a parlare
Nell’aula bunker di Lamezia Terme, allestita negli stabili in disuso della Fondazione Terina, procede il dibattimento del troncone principale del maxiprocesso Rinascita Scott. Martedì 12 aprile il boss Domenico Camillò, presente in aula, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Don Mimmo è il padre del neocollaboratore di giustizia Michele Camillò. Anche suo nipote Bartolomeo Arena, coimputato, ha inteso pentirsi. L’anziano reggente della cosca Pardea-Ranisi non è invece stato ritenuto attendibile da inquirenti e investigatori. Le sue dichiarazioni, acquisite agli atti, fungono da semplici dichiarazioni difensive. Giovedì 15 aprile, a Lamezia Terme, il processo nato dalla maxioperazione del 2019 coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia guidata da Nicola Gratteri avrebbe dovuto iniziare il controesame del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, figlio del boss Pantaleone detto “l’Ingegnere”.
Il giovane è da sei udienze che innanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia presieduto dal Brigida Cavasino con a latere i giudici Gilda Romano e Claudia Caputo risponde alle domande dei pm ricostruendo le dinamiche interne alla feroce cosca vibonese, nonché i legami con politica, forze dell’ordine, Chiesa e magistratura.