‘Ndrangheta alla sbarra. Delitti organizzati dal carcere grazie alla compiacenza di un avvocato. Ieri nell’aula bunker di Lamezia Terme, collegato in videoconferenza da sito riservato, il collaboratore di giustizia Andrea Mantella ha ricostruito alcuni omicidi avvenuti in Calabria, non di rado ordinati attraverso pizzini e microtelefoni che circolano nei penitenziari. Mantella, che da dieci udienze parla testimoniando nel maxiprocesso Rinascita-Scott, nato dall’operazione del dicembre 2019 coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri, ha risposto per ore alle domande del pm Annamaria Frustaci.

Il Tribunale di Vibo Valentia, rappresentato dal collegio giudicante presieduto da Brigida Cavasino con a latere i giudici Gilda Romano e Claudia, ha ascoltato il killer professionista pentito che nei giorni scorsi ha rivelato come le ‘ndrine abbiano raccolto i voti necessari a fare eleggere l’ex governatore della Regione Calabria Antonio Scopelliti.

Omicidi ordinati tramite pizzini grazie a un avvocato

“L’avvocato Stilo – racconta Mantella - quando ero nel carcere di Cosenza portava i bigliettini dentro e fuori dal penitenziario. Era sempre a disposizione di Peppone Accorinti e usciva con Giuseppe, il figlio di Pantaleone Mancuso detto Vetrinetta. Leone Soriano, mentre era detenuto con me nella casa circondariale di Cosenza, mi chiese una cortesia durante la messa della domenica.

Dovevo dare l’ordine al mio amico Scrugli di uccidere Grasso perché aveva denunciato le estorsioni subite e stava per testimoniare in un processo in cui Soriano era tra gli imputati. Era l’inizio del 2012, l’omicidio non andò a buon fine perché Scrugli fu assassinato nelle settimane precedenti al delitto pianificato. Nel frattempo per intimidire Grasso avevano profanato la tomba di un genitore.

Sapevano tutto di lui, doveva essere assassinato quando si recava all’Ospedale di Vibo Valentia per fare la dialisi. Consigliai a Soriano di non fare uscire l’ordine attraverso il microcellulare che gli aveva procurato Stilo e teneva nascosto nei piedi della branda. Era troppo pericoloso, si poteva essere intercettati, meglio usare i metodi artigianali: pizzini da infilare durante i colloqui con l’avvocato Stilo in delle caramelle.

In quel periodo Soriano che si era spinto fino a minacciare il giornalista Lopreiato con delle lettere, fu trasferito da Cosenza e ristretto al 41 bis quindi non riuscimmo più a comunicare in maniera diretta, ma l’ordine dell'omicidio era già stato recapitato a Scrugli. Il microtelefono invece lo presero i compagni di cella napoletani di Soriano e lo distrussero”. Per quanto riguarda i rapporti del noto legale catanzarese e i clan, Andrea Mantella afferma di averlo visto di persona “solo una volta, non era il mio avvocato”. “Eravamo nell’autonoleggio gestito da Morelli con l’aiuto della fidanzata Jessica Castagna – spiega il collaboratore di giustizia - e in quell’occasione mi disse che voleva aprire delle attività su Vibo Valentia.

Per non avere richieste estorsive o danneggiamenti doveva avere il mio permesso e lo rassicurai dicendo che non avrebbe avuto alcun problema. So che poi inaugurò una sala giochi, gestita dal nipote dell’affiliato Carmelo Barba, e che in generale l’avvocato Stilo era il prestanome di Mancuso. Il proprietario delle auto a noleggio era Peppe Vazzana che divideva con me i proventi dell’attività. Stilo andava e prendeva macchine gratis perché era amico di Morelli, quando scoprì che le usava per scarrozzare i Mancuso in giro per Nicotera vietai di continuare a regalargli i nostri servizi”.

Le false perizie psichiatriche consegnate in un bar

Il collaboratore di giustizia Andrea Mantella ha chiarito ieri in aula il ruolo dell’avvocato Stilo nel business delle false perizie psichiatriche.

“Paolino Lo Bianco lavorava nella sanità, - afferma Mantella - aveva una rete di particolari amicizie e si era attivato per tirare fuori dalla cella Claudio Fiumara, fratello di Raffaele Fiumara di Pizzo Calabro, entrambi noti per aver ucciso e dato in pasto ai pesci il fidanzato della sorella. Ad aiutare Lo Bianco c’era anche l’avvocato Stilo che raccolse il pacchetto di perizie psichiatriche false utile per essere ritenuti incompatibili con il regime carcerario ed uscire. Paolino Lo Bianco conosce dottori che si prestano ad assecondare tali esigenze, aveva la capacità di manipolarli e asservirli al suo volere. So che fu Stilo in qualità di legale difensore (e intimo amico di Saverio Razionale) a ritirare in un bar il plico di documentazione fasulla utile alla scarcerazione di Claudio Fiumara.

Agli atti si aggiungono poi le medicine che gli avvocati forniscono ai detenuti per fargli avere allucinazioni e tachicardia così da indurre il medico di turno a chiedere la visita psichiatrica”.

Il maresciallo che si schierò con il clan Mancuso

“Francesco Fortuna alias Ciccio Pomodoro venne trucidato nel 1988 a Pizzo, - ricorda Mantella - dove aveva l’obbligo di dimora, nei pressi dello stesso bar dove nel 2004 fu ucciso Domenico Belsito. Apprendo che ad ammazzarlo era stato Peppe Pagliaro di Sambiase, me lo dissero Giampà e Razionale che il delitto era stato commesso dai lametini assecondati da Razionale e Giuseppe Mancuso detto Mbrogghia. Fortuna aveva assassinato negli anni precedenti Giuseppe Gasparro detto Pino il Gatto, cognato di Saverio Razionale anch’egli ferito durante l’agguato avvenuto a San Gregorio d’Ippona e scaturito da una questione legata a del bestiame da allevamento.

Con il passare dei mesi successero diverse cose: Fortuna divenne latitante, uccisero il fratello di mia madre e Antonino Galati. La situazione era tesa e tutti i vibonesi legati al clan dovettero andarsene da San Gregorio d’Ippona e trasferirsi in città per salvarsi. Era una guerra tra sangregoriesi e vibonesi, dove i primi ne uscirono vincitori. Anche mia madre, che aveva assistito in prima persona alla morte del fratello Domenico Lo Bianco, fu minacciata affinché mantenesse il silenzio. Le forze dell’ordine erano a favore dei sangregoriesi, in particolare il maresciallo Stranges in servizio al nucleo investigativo dei carabinieri di Vibo Valentia. Era stato proprio lui, su sollecito dei sangregoriesi e dei Mancuso, a chiedere a mia mamma di ritrattare le sue dichiarazioni in merito all’omicidio dicendole di stare attenta perché aveva figli giovani e invitandola ad assumere un atteggiamento omertoso.

Non era la prima volta che il militare agiva per conto dei clan. Razionale e Lo Bianco mi raccontavano spesso il maresciallo Stranges lavorava per favorire la cosca dei Mancuso e dei sangregoriesi. Tant’è che negli anni Novanta durante il sequestro del dentista Giancarlo Conocchiella era andato a casa di Peppe Mancuso offrendo un miliardo di lire per averne il corpo. Doveva essere un sequestro-lampo a scopo estorsivo però i parenti di Conocchiella non avevano assecondato le richieste dei sequestratori che erano: i fratelli Candela e Pititto. Non erano stati autorizzati dai boss della zona a rapire il dentista, quindi Nicola Candela fu attirato in una trappola con la scusa di andare a vedere un gregge di capre accompagnato da Peppone Accorinti, Giuseppe Mancuso Mbrogghia e Saverio Razionale.

Sparì per lupara bianca, il suo corpo non venne mai ritrovato. Erano i primi anni Novanta, c’era armonia tra i clan e i Mancuso non avevano ancora chiesto la testa di Accorinti”.

Omicidio Galati, il silenzio imposto alla moglie

Le faide tra cosche portano negli anni a un continuo spargimento di sangue. E di rinnovati silenzi. “Il pastore Antonio Galati, – dichiara Mantella - mentre andava con la moglie e la figlia a San Gregorio d’Ippona a fare la mungitura delle pecore trovò dei killer appostati nella masseria. A sparare furono i fratelli Michele e Salvatore Vinci, Filippo Fiarè e Saverio Razionale che una volta ucciso l’uomo passarono sul suo corpo con una Fiat 127. La moglie riconobbe gli assassini, ma fu subito informata che se avesse parlato avrebbero ucciso Michele, il suo unico figlio maschio.

Lei non ha mai accusato nessuno dicendo, come le era stato imposto, che i killer erano incappucciati e in effetti Michele Galati è ancora vivo, mi pare si occupi di equitazione”.

Le vendette di un figlio orfano e di un suocero

“Il nipote di Saverio Razionale, Gregorio Gasparro per vendicare il padre Giuseppe Gasparro ucciso negli anni Ottanta, chiese ai piscopisani di poter ucciderne il responsabile: Pasquale Franzè. Razionale e Gasparro si relazionarono con Michele Fiorillo alias Zarrillo, Rosario Fiorillo e Rosario Battaglia, ma materialmente non so chi abbia sparato. A distanza di tempo parlando con Rosario Fiorillo e Rosario Battaglia appresi del loro malcontento perché, nonostante quello che avevano fatto per Gregorio Gasparro ammazzando Franzé, suo zio Saverio Razionale aveva tradito la loro fiducia per accaparrarsi i favori e il beneplacito dei Mancuso.

Appresi che a sparare a Pasquale Franzè nella sua motoape, mentre aspettava la moglie, era stato Rosario Fiorillo. Entrambi (Battaglia e Fiorillo) avevano il dente avvelenato nei confronti di Razionale. Mi raccontarono infatti che Pantaleone Mancuso alias Scarpuni non passeggiava più sul lungomare di Nicotera allora capimmo che Razionale si era attivato per metterlo in guardia informandolo del proposito omicidiario dei piscopisani che maturarono così l’idea di volerlo eliminare. Nel chiacchierare durante l’incontro appresi che anche Giuseppe Pugliese Carchedi era stato ucciso dai piscopisani con la collaborazione di Rosario Fiorillo. Un omicidio ritenuto necessario perché (nonostante fosse stato avvisato) questo ragazzetto fidanzato con la figlia di Enzo Barba con la quale stava per sposarsi contemporaneamente aveva una relazione con la figlia di Nazzareno Felice ‘U capiceju affiliato al clan dei piscopisani con una posizione verticistica, factotum di Razionale anche su Roma”. Delitti inseriti nel contesto più ampio di conflitti armati tra le cosche di ‘ndrangheta che ancora a oggi non hanno ben definito i propri equilibri interni.