Ripartire dallo “spirito comunitario dell’Unione Europea” risvegliato dalla guerra in Ucraina. Aprire una strada “opposta da quella della dipendenza” da Mosca e cercare “un’immediata alternativa al gas russo’. Se ancora non si capiscono i perché di questa guerra, le conseguenze, immediate e nel lungo periodo, sono note a tutti. Le morti, militari e civili, la distruzione di edifici e punti strategici di diverse città ucraine e una crisi economica che interesserà tutta Europa, soprattutto per quanto riguarda il settore energetico. Vladimir Putin ormai è rimasto solo, ma il gas è ancora una delle frecce nel suo arco e per questo motivo Mattia Pagani, attivo nelle consulenze in ambito energetico ed esperto del settore, è convinto della necessità di ripartire dalla ritrovata comunione d’intenti dell’UE per “ridefinire un disegno geopolitico ed economico diverso e tutto da scrivere”, una sorta di nuovo rinascimento che interessi l’Unione.
In termini energetici, quanto costerà all’Europa questa guerra?
Il conflitto in corso tra Russia e Ucraina potrebbe avere un costo molto elevato per l’Europa in termini direttamente legali agli approvvigionamenti di gas naturale, in quanto la maggior parte dei paesi comunitari sono parzialmente dipendenti dal gas russo - Germania 49%, Italia 46%, Francia 24% - o addirittura totalmente dipendenti come Finlandia, Lituania, Macedonia.
Quanto pesano le sanzioni in questo discorso?
L’Europa ha reagito al conflitto attivando immediatamente meccanismi di sanzione contro la Russia come deterrente a un'ulteriore escalation militare. Fino a oggi queste sanzioni non hanno intaccato il mercato energetico (in particolare Gazprom e Gazprombank), tuttavia se il conflitto non dovesse trovare una risoluzione diplomatica, l’intervento sanzionatorio che l’Europa sarà costretta ad attivare dovrebbe estendersi anche al comparto energetico, vera fonte di finanziamento attuale della Federazione Russa.
Cosa comporterà questa possibile evoluzione?
Va da sé che tale tragica evoluzione porterebbe oltre che a un costante aumento di prezzi (problema con cui le economie europee si trovano già a far fronte da un anno a questa parte), anche ad una possibile carenza di approvvigionamento per affrontare il prossimo inverno, se l’Europa non penserà ad una immediata alternativa al gas russo.
Quanto costerà invece all’Italia?
L’Italia è una nazione strettamente legata al gas russo (46% del proprio fabbisogno), per fortuna l’inverno è alle spalle, ma l’elemento a sfavore è la mancanza di alternative reali alla produzione di energia elettrica: per ora le fonti rinnovabili coprono solo il 35% del fabbisogno nazionale, il 57,6% del necessario, viene ancora prodotto con centrali termoelettriche (principalmente a gas).
Preso atto di questa situazione, è indispensabile, visto il conflitto in corso, trovare un’alternativa a un eventuale riduzione degli approvvigionamenti russi, avendo contezza che bisognerà intraprendere una strada per far fronte alle esigenze nel breve (ad esempio la riattivazione di centrali a carbone) e un’altra nel medio lungo periodo (rinnovabili).
Guerra in Ucraina, questione gas: le alternative
Quale potrebbe essere l’alternativa al gas russo?
La soluzione primaria per colmare qualsiasi carenza di approvvigionamento è quella di acquistare il gas su navi cisterna da altri paesi (Usa in primis). A dicembre le importazioni di gas naturale liquefatto (Gnl) hanno aiutato a proteggere l'Europa dai prezzi record del gas.
Il governo comunque ha attivato e sta attivando interventi urgenti per cercare di colmare un eventuale carenza di gas, una prima risposta verrebbe dall'aumento della produzione nazionale di gas. Il decreto della scorsa settimana ha già previsto un incremento di 2,2 miliardi di metri cubi, fino a circa 5 miliardi di metri cubi (mc) totali: tenete presente che l’Italia ha un fabbisogno di circa 70 miliardi di mc anno.
Un secondo intervento è quello di aumentare le importazioni da forniture già in essere con altri paesi nello specifico Algeria e Azerbaijan attraverso il gasdotto Tap con cui lo scorso anno sono stati importanti circa 7 miliardi di mc che potrebbero aumentare di 2 o 3 miliardi entro la fine dell’anno, più a medio termine il gasdotto potrebbe importare fino a 20 miliardi di metri cubi annui, senza aver bisogno di modifiche infrastrutturali.
Quali sono le difficoltà principali nel trovare una soluzione alternativa?
Un’alternativa, come detto precedentemente, è il gas importato con navi cisterna ma i costi di produzione in Russia sono più bassi di almeno 1/3. È pertanto impensabile che si scelga di affidare il sistema energetico europeo a importazioni di Gnl da paesi lontani come gli Usa, con costi di trasporto elevatissimi, tenendo in considerazione anche le perdite di metano.
Quali le difficoltà nel commercio Gnl?
Il problema del commercio di Gnl è che la maggior parte delle forniture globali di gas naturale liquefatto sono già legate da contratti a lungo termine. L'Europa dovrà lottare con il resto del mondo per assicurarsi quei rimanenti carichi di Gnl non vincolati. L'Italia ha comunque una limitata capacità di rigassificazione e solo tre impianti (Panigaglia, Rovigo e Livorno) con una capacità di rigassificazione di circa 7 miliardi di mc.
Una riflessione sulla rigassificazione e le prime misure del governo
Sulla questione si è espresso anche Mario Draghi che ha invitato ad una riflessione sull’argomento rigassificazione, che tipo di lavoro occorre?
La creazione di due nuovi terminali di rigassificazione, con un beneficio di rigassificazione di circa 15 miliardi di mc, comporterebbe un investimento finanziario di 1,5 miliardi di euro e un tempo di realizzazione di circa tre anni.
Venerdì 18 febbraio, il governo ha annunciato alcune misure che mirano a contenere nel breve periodo l’aumento dei costi energetici e nel lungo periodo ad aumentare la produzione di gas nazionale, può funzionare?
In quel provvedimento sono stati stanziati circa 8 miliardi, di cui 5,5 saranno destinati a far fronte al caro energia, la nostra visione è che il beneficio possa essere molto limitato in quanto l’aumento dei prezzi ha comportato un incremento dei costi che stanno impattando su tutte le filiere produttive.
Un nuovo corso per l’energia
Questa guerra può essere uno stimolo per affrancarsi dal gas russo?
Crediamo che sia una conseguenza ormai ovvia, una strada va presa in direzione opposta da quella della dipendenza dal gas russo, che rimarrà comunque come fornitore marginale.
Le rinnovabili potrebbero sopperire ai bisogni nazionali?
Ad oggi le rinnovabili si attestano ad una produzione pari al 37% del fabbisogno energetico nazionale, l'obiettivo di decarbonizzazione è il 2030 ma sarà necessario spingere per il raggiungimento dell'obiettivo, visto gli accadimenti attuali, in tempi più brevi.
Una minor dipendenza dalla Russia in termini energetici potrebbe portare a un maggiore potere dell’Unione nello scacchiere geopolitico mondiale?
Sicuramente il conflitto in corso ha reso l’Unione europea conscia di avere uno spirito comunitario reale, che fino a qualche mese fa era impensabile. Da qui si riparte per ridefinire un disegno geopolitico ed economico diverso e tutto da scrivere, lo definirei “rinascimentale”.