“Un cane è entrato in casa e io gli ho sparato”. Lo avrebbe detto Emanuele Ragnedda che, con queste parole, ha cercato di giustificare agli inquirenti le macchie di sangue ritrovate sul divano. “Ed è per questo che sono andato ad Arzachena per comprarne uno nuovo – avrebbe proseguito – perché non sono riuscito a toglierle”. Gli investigatori hanno valutato queste dichiarazioni con cautela, soprattutto dopo i rilievi effettuati dagli specialisti del Ris, il reparto di investigazioni scientifiche dei carabinieri, nella tenuta vinicola di Conca Entosa, nel territorio di Palau.
Nella giornata di ieri, all’Istituto di medicina legale di Sassari, è stata effettuata l’autopsia sul corpo di Cinzia Pinna, affidata al medico legale Salvatore Lorenzoni. “Non era in buone condizioni”, ha dichiarato lo specialista, considerando che il corpo senza vita della vittima era rimasto a lungo all’aria aperta. Una certezza, al momento, è che non ci sarebbe stata violenza sessuale.
Domani, alle 16, nella cattedrale di Sant’Antonio Abate a Castelsardo, saranno celebrati i funerali di Cinzia Pinna.
'Mio figlio non è un mostro', parla il padre di Ragnedda
“Secondo me, quella maledetta notte Emanuele ha dovuto scegliere se vivere o morire. Io la penso così. Almeno questo è quello che mi sento e che ho capito dai racconti di mio figlio”.
Mario Ragnedda, padre di Emanuele, reo confesso dell’omicidio di Cinzia Pinna, non ha dubbi.
“Emanuele mi ha detto che, dopo una serata trascorsa a Palau in un locale, lei gli ha chiesto un passaggio – assicura – ma non aveva una casa dove andare a dormire. Poi ho anche saputo che quella sera non si è sentita bene. E lui – conferma – l’ha portata nella nostra tenuta di Conca Entosa. Poi non so cosa sia successo. Sicuramente le cose sono degenerate, considerando quello che è accaduto”.
Il padre di Emanuele è andato più volte a trovarlo nel carcere di Bancali, dove è stato trasferito da quello di Nuchis. “Emanuele è molto dispiaciuto e turbato – racconta ai giornalisti – ma sta abbastanza bene.
Vorrebbe far capire a tutti i motivi del suo gesto – spiega – con me lo ha fatto. Io sono il padre, e il padre resta un padre. Nonostante tutto il male che mio figlio possa aver provocato. Non dormo la notte – assicura Mario Ragnedda – pensando a Cinzia e alla sua famiglia. Poteva essere mia figlia. Poi saranno gli inquirenti a stabilire cosa sia accaduto quella maledetta notte – conclude – Emanuele mi ha assicurato che è stato aggredito e che aveva paura per la propria vita. Ripeto, è sempre mio figlio. Purtroppo, però, è andata così”.