Nuovo disco per gli Skunk Anansie, che hanno avuto grande successo venti anni fa con l’album “Stoosh” (1996), a seguito dell’esordio acerbo ma interessante dell’anno prima “Paranoid and sunburnt” (1995). “Stoosh” fu la metamorfosi in breve tempo da band di culto “alternativa” a band di “successo” (commerciale), grazie al singolo “Hedonism”.È un po’ questo il paradosso di questa band, che sembra essere contro il sistema, a cominciare dal “coming-out” dichiarato dalla leader Skin, ma invece del sistema poi ne fa parte (vedi la partecipazione di Skin a reality show di dubbiosa qualità artistica).
Anche per questo suona strano il nome del disco (“Architetture anarchiche” inserito in un gioco di parole). Aggiunge Skin: “La parola architettura significa infrastruttura, in cui tutto è organizzato, aggiungendo però la negazione. Il titolo significa che ogni cosa può essere distrutta dalla follia".
Una lunga pausa
Dopo l’uscita di “Post orgasmic chill” (1999) la band si prese una pausa, a chiusura di un trittico di dischi abbastanza interessante, merito della splendida voce di Skin, sensuale quanto aggressiva, che si amalgama bene con il groove pesante prodotto dagli altri compagni, delineandosi nel genere hard-rock ma anche post-punk con incursioni elettroniche (“Charlie Big Potato”). Poi la reunion nel 2010, dopo le (dis)avventure soliste di Skin (niente di memorabile, a dire la verità), con “Wonderlustre”, ma sinceramente non se n’era accorto nessuno.
Potenzialità inespressa
Degli altri componenti della band (Ace alla chitarra, “Cass” Lewis al basso, Mark Richardson alla batteria) non si hanno notizie. Sulla scia del successo della partecipazione di Skin al popolarereality show X-factor, esce “Anarchytecture”, preceduto dal primo singolo “Love someone else”, che la cantante ha cantato in anteprima proprio allo show.
Il disco non aggiunge nulla di nuovo alla carriera della band, proponendo canzoni con un sound potente ma privo di pathos ed incapace di stimolare emozioni nell’ascoltatore più attento. Qualche idea valida c’era, basta ascoltare il ritmo sincopato durissimo di “Suckers!”, ma inspiegabilmente il brano è della durata di un solo minuto e mezzo, oppure in “Beauty is your curse” dove la chitarra fende l’aria con acuti micidiali.
“Death to the lovers” è una ballata elettronica che affronta il tema del terrorismo . “I’ll let you down” offre una buona prestazione vocale della cantante, ma scorre senza apportare nulla di nuovo, con il sapore del “già ascoltato”, un po’ come tutto il disco. Questa follia che Skin dichiara di aver inserito nel lavoro sinceramente non la si percepisce. Rimane un discreto disco di hard-rock, contaminato dall’elettronica, con pochi momenti alti degni di memoria. Consigliato solo ai fan della band.