L’iconico quadro dell'artista surrealista belga René Magritte, La Trahison des Images, meglio conosciuto come Ceci n'est pas une pipe, ritorna in belgio per la prima volta in 45 anni. Un’esposizione al Royal Museum of Fine Art del Belgio analizza l’influenza di Magritte su artisti contemporanei come il belga Marcel Broothaers, il suo erede spirituale, Jasper Johns e David Turk. L'esposizione è aperta dal 13 ottobre 2017, e lo rimarrà fino a febbraio 2018.

Con le sue opere, un misto di immagini e parole, Magritte ha da sempre cercato di mettere in discussione le convenzioni linguistiche e visive del suo tempo.

E oltre ad esprimere problemi filosofici, uno dei suoi obiettivi era di dimostrare che le immagini possano essere allo stesso livello delle parole nell’espressione della coscienza. Più semplicemente, l’idea era di provare che « un’immagine vale più di mille parole. »

La critica delle immagini e la rappresentazione

Datato 1929, La Trahison des Images rappresenta una pipa, semplicemente disegnata, sospesa in uno spazio indefinito; sotto la figura c’è la frase « Ceci n’est pas une pipe », ovvero questa non è una pipa. Ora, la domanda che Magritte ha posto più volte per spiegare il perché di questa frase, è chi potrebbe fumare la mia pipa? La risposta, ovviamente, è nessuno; e la conclusione logica che ne consegue è che il disegno della pipa non sia una pipa.

Perché ciò che compone l’essenza della pipa, cioè l’elemento che rende la pipa tale, è l’insieme delle sue caratteristiche materiali e funzionali. Una pipa che non può essere fumata dunque non è una pipa, o non può essere definita strettamente pipa. Quello che Magritte voleva comunicarci con il quadro, è che tra l’oggetto e la sua rappresentazione non può e non deve esserci confusione ontologica.

La pipa reale è una pipa; la rappresentazione di una pipa non è una pipa, è la rappresentazione di essa.

Studioso di filosofia, l’artista belga sapeva che la pittura e le rappresentazioni visive sono state criticate condannate per lungo tempo. Cominciando da Platone: nella Repubblica, solo la poesia di un certo tipo è considerata adatta all’educazione dei guardiani e dei filosofi.

Le immagini sono criticate in quanto ‘’copie di copie’’. Cosa significa? La filosofia di Platone, che si può ricondurre cautamente ad una forma di idealismo, pone le idee delle cose al di sopra delle cose esistenti, considerando tutto ciò che è materiale come una copia dell’idea perfetta della cosa, idea che si trova nell’iperuranio. E ogni stadio che ci allontana dall’idea perfetta di sedia, fa perdere perfezione alla cosa.

Quindi, la sedia materiale è una copia dell’idea di sedia, di un grado meno perfetta; e la rappresentazione della sedia è di due gradi meno perfetta. In più, vuole fingersi sedia, cosa che, secondo Platone, la rende ancora più pericolosa.

La poesia è una pipa: il surrealismo di André Breton

Ora, Magritte non si riconosceva nella pittura tanto da preferire all’appellativo artista quello di pensatore che si esprime con le parole; e i suoi quadri sono generalmente un mélange di scrittura e pittura. Solo con la scoperta delle prospettive metafisiche di Giorgio De Chirico ha compreso come la pittura poteva essere sfruttata per andare al di là della semplice imitazione e definizione, e sopratutto cambiato idea sul valore della pittura e dei quadri.

La scelta dell’oggetto pipa non è casuale. I maggiori esponenti del surrealismo André Breton e Paul Éluard, scrissero nel n°12 de La Revolution Surrealiste, le Notes sur la poésie: una raccolta di definizioni della poesia.

Una delle definizioni dichiara che La poésie est une pipe - la poesia è una pipa. Quindi, oltre a dirci che la rappresentazione della pipa non è la pipa reale, Magritte sottolinea allo stesso tempo che la pittura non si tratta di poesia.

Ma allora qual è il legame tra il surrealismo pittorico di Magritte e il surrealismo poetico per esempio di André Breton? L’elemento che li accumuna si può ritrovare nella metafora.

La metafora surrealista

É l’autore belga Paul Nougé il primo a mettere in relazione la teoria delle immagini di Magritte e la teoria della metafora surrealista, nel 1933. Il fatto che i surrealisti cambino il mondo a loro piacimento, scriveva Nougé, dimostra il fatto che gli uomini, nel loro insieme, provano lo stesso bisogno, anche se in gradi differenti, di voler scappare dall’ordine stabilito.

E il valore stesso dell’esistenza è legato all’esistenza di un tale desiderio. La volontà di esistere al di là dell’ordine in cui l’uomo si trova inserito, dona valore all’esistenza stessa, molto più del quadro empirico che la imprigiona. É importante riconoscere questo desiderio nella sua totale estensione, ed è il modo in cui Magritte riconosce che, in un qualche modo, la rappresentazione può dimostrarlo: ma solo prendendo la metafora in una maniera che non è quella a cui siamo abituati.

Passiamo in questo modo al livello dell’immaginazione, dove i soliti rapporti si confondono con rapporti che rilevano dall’esprimersi dell’immaginazione dell’artista. Ma questo non rischia di fare cadere la rappresentazione nel falso?

Magritte affermava che l’immaginazione non fosse un fare finta di, ma che fosse al contrario la verità. E sosteneva di essere alla ricerca non dell’Arte ma dell’uomo, e della sua realizzazione, attraverso l’immagine. Quando parliamo di esistere al di là dell'ordine stabilito, non è la ricerca di un mondo fantastico in cui scappare alla realtà; si tratta di trovare un altro ordine. A proposito di questo, Magritte sosteneva appunto:

«Non bisogna confondere il surreale con il desiderio di un mondo immaginario. (…) Il surreale, o la sur-realtà, è la realtà che si libera del senso banale o straordinario che gli è affibbiato. Il surreale è la realtà che non è separata dal suo mistero. Il pittore surrealista descrive il pensiero che può essere reso visibile dalla pittura.

Questo pensiero evoca il mistero senza il quale alcun pensiero né alcun modo sarebbero possibili».

Il valore di un’immagine surrealista, definita da André Breton come « l'immagine che presenta il grado di arbitrario più elevato quella che richiede più tempo per essere tradotta in linguaggio pratico » dipende dalla scintilla poetica che risulta dalla tensione tra i due poli dell’immagine. Il fatto che Magritte metta insieme un’immagine banale e una descrizione che si allontana totalmente dall’immagine che la sovrasta, permette la “scintilla’’ che Breton vede come ciò che fa il valore dell’immagine surrealista. Ma la scintilla non è che all’interno dello spettatore, non nel quadro stesso, perché la chiave sta nel linguaggio.

Basta prendere come esempio una delle opere seguenti di Magritte, La Clé des Songes: Magritte associa a degli oggetti facilmente riconoscibili come un coltello o una valigetta delle parole con le quali non hanno niente a che fare, come uccello e cielo. Per chi non parla francese, tuttavia, la parola potrebbe essere quella giusta, e la rappresentazione non risulterebbe assolutamente problematica.

Inoltre, il disegno quasi infantile, scolastico, è fatto apposta per essere riconosciuto. In questo modo, il divario tra l’oggetto e la sua rappresentazione, dove si mischiavano necessariamente la soggettività e le capacità del pittore, è abolito.

Les Clés des Songes e l’attitudine dello spettatore

Nelle opere seguenti, come Le Clé des Songes (1930), il rapporto di designazione tra parole e immagini - le cose, si potrebbe dire - smette di essere un rapporto.

Gli oggetti più banali come un uovo o una scarpa perdono tutta la loro consistenza ontologica. Il sapere, il pensiero, e attraverso di questi, gli schemi di riconoscimento mimetico, si disfano. Magritte affermava che « I titoli sono scelti in modo che impediscano di situare i quadri in una regione familiare che l’automatismo del pensiero non mancherà di provare a creare pur di sottrarsi all’inquietudine. » Che siano i titoli o le didascalie di oggetti, la conseguenza è sempre il non-rapporto con la rappresentazione. Michel Foucault, filosofo francese, ritrova, nel periodo della pittura occidentale che va dal 15esimo al 20esimo secolo, il principio che non si rappresenta qualcosa che mostra qualcos’altro senza affermare allo stesso tempo che la cosa riconosciuta sia riconoscibile linguisticamente, e che rinvii sempre all’oggetto che rappresenta.

Questo principio, con il surrealismo, e soprattuto nella pittura di Magritte, è messo in pericolo, se non completamente distrutto.

L’opera d’arte serve, in questo schema, come trampolino. L’arte moderna necessita un profondo cambiamento di attitudine da parte dello spettatore, dal quale l’artista si aspetta un avvicinamento.

Gli spettatori di stupivano, scriveva Magritte, davanti alla rappresentazione di cose che sono sconosciute. Eppure, sono oggetti abituali, familiari. L’artista cercava la poesia nel mondo degli oggetti familiari. Ciò che stupisce gli spettatori, è il rapporto, la nuova logica che impone del mondo.

Magritte voleva scatenare un’esperienza estetica all’interno dello spettatore, e ciò che crea quest’esperienza pare essere solo dentro la mente dell’uomo, creato da lui stesso.

Quindi la metafora o l’immagine non abituali, proposte da Magritte, risponde a un desiderio profondo di cambiare l’ordine abituale delle cose. Ciò non esprime nient’altro che la partecipazione attiva che René Magritte e il surrealismo chiedono allo spettatore. una partecipazione creatrice, che si accende a partire dall’immagine e della metafora.