Con il suo nuovo singolo Formentera, AvA torna nella scena musicale con un sound che unisce ritmi latin pop e atmosfere raffinate, raccontando la leggerezza come forma di resistenza e di rinascita.
Artista poliedrica e indipendente, AvA ha sempre usato la musica come manifesto di libertà personale, trasformando contraddizioni, fragilità ed energie esplosive in racconti sonori capaci di parlare a chiunque.
AvA e il diritto di rallentare in un modo in cui tutto corre: "Bisogna dare tempo"
AvA si è raccontata a Blasting News in un viaggio tra passato e futuro, tra il desiderio di evasione e la ricerca di autenticità, svelando cosa significhi oggi fare musica senza compromessi.
La tua carriera è iniziata come frontwoman delle Calypso Chaos e poi hai intrapreso un percorso solista: se fosse un romanzo, qual è stato il capitolo di svolta che ti ha spinto a scrivere la tua storia da sola?
"Beh, diciamo che quello con le Calypso Chaos è stato un percorso molto lungo. Abbiamo suonato insieme per più di dieci anni e poi ci siamo sciolte in maniera più o meno naturale. E a seguito di questa rottura - immagina lo stato d’animo - sono caduta in una profonda depressione dalla quale poi sono uscita soltanto grazie all'idea di continuare a fare le cose da solista. AvA è nata proprio dalle ceneri del progetto delle Calypso. Comunque, anche quando avevo il gruppo, tutto ciò che era musica inedita era scritto da me, quindi ho semplicemente continuato su quella falsariga.
Certamente, ho abbandonato un po' tutta la musica cantautorale, vecchio stile, tutto ciò che era “strumento acustico”. Non a caso, il primo disco di AvA, Lo Squalo, è un album completamente elettronico, anche se sempre pop".
Nel tuo primo disco Lo Squalo ti sei presentata come una forza inarrestabile; oggi con il nuovo progetto sembri invitare a “prendere le cose come vengono”. Come descriveresti questa trasformazione del tuo linguaggio musicale e personale?
"Con la vecchiaia, nel senso che si cresce e si cambia: si diventa più saggi. Secondo me, si arriva alla conclusione che bisogna anche sapersi godere le cose che si hanno già, non sempre rincorrere qualcosa che abbiamo la sensazione che continua a mancarci.
Anche se io devo ammettere che per fortuna, ho sempre avuto molto la capacità di godermi i momenti, di fermarmi, di rendermi conto, soprattutto negli attimi in cui ero felice e stavo bene. Quindi ho tratto grandi ispirazioni da queste esperienze. Tuttavia, negli ultimi anni, l'accelerazione, soprattutto a livello di business musicale, è stata scandalosa. C’è consumismo. La musica non è più intesa come un'arte, ma come mero intrattenimento, o peggio, veicolo di popolarità. Quindi per chi vuole giocare a questo campionato deve attendersi a queste regole, in teoria. Devi andare veloce, stare sul pezzo, sempre musica nuova, fare live, foto, stare sempre sui social. A un certo punto ho detto basta, mi sono un po' tirata fuori da questa dinamica, perché altrimenti avrei perso, secondo me, l’onestà con quello che stavo facendo.
Non voglio finire per farmi masticare da tutto ciò e considerare la musica la stregua, per esempio pensare “questo ritornello lo devo scrivere così perché è una hit”. Ecco, a me queste dinamiche non mi sono mai interessate e me ne sono proprio tirata fuori. E ne vale anche della mia salute mentale, che finalmente è un tema che in questi anni, stranamente, casualmente, sta prendendo un po' piede".
L’industria musicale spesso corre veloce. Tu invece rivendichi il valore della lentezza.
"Sì, è un buon auspicio ed è anche in realtà un consiglio per un buon business. Vedo ragazzi molto giovani, anche provenienti dai talent, che sono finiti in terapia, gente che all'inizio della carriera già si è dovuta ritirare.
Sono stati gettati in un “tritacarne”. Magari sono anche bravi, ma l'arte e la musica, in generale, hanno bisogno del loro tempo. Una persona deve vivere per avere qualcosa da dire, questo vale anche per gli autori. Tutto sta andando veramente troppo veloce. Non c'è più la cura e l'ascolto di ogni singolo artista per potergli cucire eventualmente un brano addosso, o per i pochi artisti che si scrivono le canzoni da soli, non gli viene dato il tempo di vivere qualcosa di interessante da raccontare. Quindi, automaticamente bruciano anche le poche galline dalle uova d'oro che ci sono. Bisognerebbe tornare ad avere cura dell'artista come si faceva in passato, un po' come si fa per i sportivi in generale, bisogna dare tempo.
Ad esempio il tempo che si sono prese per esempio Adele o Laura Pausini qualche anno fa".
“Formentera” nasce come metafora di fuga e rinascita: credi che la musica abbia ancora per te quella funzione catartica di viaggio interiore, o è diventata qualcosa di diverso?
"Sicuramente la musica ha sempre una funzione terapeutica. Formentera è l'unica cosa positiva uscita fuori dalla brutta storia da cui nasce. Ho fatto questo viaggio per cercare di scappare dai miei problemi ingenuamente, ma i miei problemi hanno preso l'aereo con me. Quindi, ho ottenuto l'esatto effetto opposto, ed è molto brutto. Genera delle emozioni molto forti. Hai questa isola bellissima piena di gente, il mare è stupendo e tu improvvisamente invece ti senti solo, completamente assente, distaccato da tutto.
In un attimo, quel posto è diventato una bellissima cornice di sensazioni negative. Penso che la fuga dai propri problemi tendenzialmente non è mai la soluzione. Bisogna attraversare i problemi e farsi attraversare dal dolore, accettarlo, comprenderlo e poi eventualmente andare avanti. Insomma, l’unica cosa positiva che è uscita fuori da questa storia è il brano che è il primo singolo estratto del mio prossimo disco".
Il diritto al fallimento e la rinascita guardando al futuro
Nei tuoi brani alterni leggerezza e profondità, tra ironia e malinconia: come riesci a trasformare le contraddizioni emotive in un filo narrativo coerente?
"Non lo so se ci riesco onestamente, perché secondo me l'incoerenza è parte fondante di tutti gli esseri umani.
Più che incoerenza, è semplicemente diversità. Io penso che siamo fatti di tante cose. Non esiste una persona soltanto leggera, una persona soltanto malinconica o depressa. Secondo me quello di cui io canto è più un buon auspicio, è più un “vorrei essere così leggera”. E poi, le poche persone ‘leggere’ che conosco, sono anche quelle che in realtà hanno attraversato degli abissi terribili. Quando soffriamo, non è che siamo contraddittori con noi stessi, piuttosto raccontiamo delle tante cose di cui siamo fatti e ti immergi in una alla volta. Io penso, quindi, che siamo coerenti nel raccontare che siamo incoerenti. Stiamo comunque ascoltando qualcosa di realista".
Nel tuo ultimo album parli di “diritto alla lentezza, alla disperazione, alla malinconia e perfino al fallimento”.
Qual è, secondo te, il diritto più urgente da rivendicare oggi attraverso la musica?
"Penso che il diritto al fallimento in generale nella vita sia una cosa che dobbiamo difendere con le unghie e con i denti. In Italia abbiamo questo enorme ‘problema culturale’. Faccio questa premessa perché in altri posti, nella cultura anglosassone, e a maggior ragione in quella americana, da cui derivano spesso la nostra ispirazione, il fallimento ha una considerazione quasi ‘sacra’. Il successo è come una somma dei propri fallimenti. Quindi, fallire è obbligatorio. Non puoi avere successo se non hai fallito prima. Se non hai mai fallito prima, quello che hai non è un successo stabile. Quindi, bisogna dare il tempo alle persone e agli artisti di fallire per poter poi trovare la combinazione esatta.
In Italia questa concezione è ostracizzata. Se fallisci una volta, sei bruciato. Spesso, è complicato in Italia avere una seconda, una terza o una quarta possibilità. A malapena si arriva alla seconda. Perciò, rivendico ad alta voce il diritto di fallire per poter avere successo, per poter imparare. Anzi, è proprio questo che ci dà qualcosa da raccontare. Le cose migliori, spesso, escono fuori dagli errori. Questo rende anche la vita, secondo me, interessante".
Le tue canzoni sembrano essere anche specchi della tua vita: guardando indietro, c’è un brano che senti come un ritratto fedele di chi eri in quel momento, e un altro che anticipa chi stai diventando?
"Questa è una bella domanda. Beh, se faccio riferimento per esempio a Donna Alfa, che è un brano che è nel primo album, e poi penso a quello che sta per venire a novembre che si chiama Requiem, sono due brani agli antipodi.
Il primo racconta di una donna 3.0, che si è emancipata e ha capito che ha potere sugli uomini, che sostanzialmente hanno statisticamente molto più potere di una donna. Questa è un po’ la mia filosofia. Poi, arrivando a Requiem, ci troviamo di fronte un brano dove invece c’è l’apologia della disperazione. Eppure, io non vedo due persone diverse. Noi siamo entrambe le cose. Cioè una persona forte non significa che non è una persona sensibile o fragile. Sono semplicemente modalità di rapportarci a diversi momenti della propria vita. Continuo a ribadire che più una persona esternamente sembra forte, sembra che niente la tocchi, secondo me ha una corazza più spessa. Bisognerebbe chiedersi che cosa ha passato per diventare così.
Io nella mia vita privata sono un ‘pezzo di sasso’. Faccio fatica a volte a parlare di quello che sento. Solo quando scrivo riesco a connettermi profondamente con quello che provo e a comunicarlo in una maniera più chiara. Quindi, la persona che ha scritto Donna Alfa e quella che ha scritto Requiem sono la stessa, ma magari sta facendo un percorso che le ha permesso di poter scrivere un brano del genere. Inoltre, con l'ironia si possono dire cose abbastanza importanti. È un po' il mio dualismo, da una parte riesco ad essere molto intima, dall'altra sono anche una ca**ona. Sicuramente dal punto di vista stilistico forse questa cosa mi si torce un po' contro, perché noi siamo abituati ad artisti ‘fotocopia’.
Invece, in questo disco, obiettivamente, ci sono brani molto diversi tra di loro. L'unica cosa che li rende riconoscibili e legati tra di loro è la mia voce e la mia modalità di scrittura.
Se dovessi immaginare il tuo futuro discografico, come sarebbe?
"A proposito di rallentare, con la mia etichetta abbiamo deciso di fare l'esatto opposto. Io vengo dal post-Covid, da quasi quattro anni di silenzio. Perché quando AvA aveva appena debuttato è arrivato il Covid. Quindi, ricominciare dopo quattro anni non avrei potuto farlo con la lentezza che avrei voluto per me stessa. C'è questo disco nuovo che uscirà a suon di singoli uno al mese, fino ad aprile. Nel frattempo però sto già per rientrare in studio per terminare un altro nuovo disco, che ho già scritto e che uscirà da maggio 2026. Per adesso il progetto è quello di non fermarsi. In realtà cerco di vivermi questa circostanza in maniera molto diversa dal passato. In passato una cosa del genere psicologicamente mi avrebbe uccisa. Cerco sempre di bilanciare tutta questa accelerazione con dei grossi stop, cerco di riposarmi molto, di dormire tanto. Le pause sono fondamentali per ricaricarsi, per stare insieme alle persone a cui vogliamo bene e con i miei gatti (ride, n.d.r.)".