Le ultime vicende politiche in Italia e la preoccupazione per un ripensamento nell'indirizzo di contenimento del deficit e del debito pubblico da parte del Governo in formazione hanno riportato d'attualità un termine che sembrava ormai destinato a rimanere chiuso nel ricordo della nostra storia più recente. Stiamo parlando dello spread, un differenziale che è divenuto noto alle cronache nell'estate del 2011 e che ha successivamente portato all'adozione di diversi interventi d'austerità (tra cui l'introduzione di una tassa patrimoniale sulla proprietà immobiliare ed una pesante riforma del sistema pensionistico).

Oggi, a quasi un decennio di distanza, le preoccupazioni espresse all'estero dagli organismi internazionali vanno di pari passo (ma in senso dicotomico) con quelle degli italiani in merito ad un possibile ritorno di politiche restrittive, anche se dall'esecutivo in formazione emerge tranquillità e si promette al contrario una definitiva conclusione dell'austerity. Per capire chi avrà davvero ragione non bisognerà attendere molto, ma nel frattempo si materializzano comunque le prime conseguenze dovute al crescente clima di incertezza.

Le prime conseguenze derivanti da un ritorno dello spread

Resta il fatto che la nuova apparizione dello spread sullo scenario nazionale e su quello internazionale non può che portare ai primi riverberi economici, a partire dai rendimenti che l'Italia dovrà garantire per collocare sul mercato le proprie obbligazioni pubbliche.

Al riguardo, bisogna innanzitutto premettere che negli ultimi anni si è registrato un positivo consolidamento del debito, che ha portato a tassi in discesa (con risparmi di interessi calcolabili in quasi un miliardo di euro). Secondo le proiezioni prodotte dal Ministero dell'Economia, uno shock al rialzo potrebbe quindi essere calmierato dalla situazione pregressa e dalla politica di gestione del debito portata avanti recentemente, con emissioni che hanno man mano allungato la vita dei bonds e quindi i tempi del loro rifinanziamento.

Nonostante ciò, un ritorno alla crescita dello spread non sarebbe comunque privo di conseguenze, potendo costare nel primo anno un paio di miliardi di euro, per arrivare a superare però i 20 miliardi nel corso dei prossimi tre o quattro anni.

L'impatto dello spread nella vita dei cittadini

Lo scenario appena delineato avrebbe un prezzo anche per i cittadini, visto che maggiori costi di rifinanziamento del debito pubblico per lo Stato si traducono inevitabilmente in aggravi per tutti.

Oltre agli inevitabili effetti sul bilancio pubblico (che dovrà compensare con tagli o con imposte più elevate), in un simile scenario le imprese si troverebbero a confrontarsi con costi di rinnovo del proprio debito corporate in salita, perché il rischio Paese si rifletterebbe inevitabilmente sull'attività aziendale. D'altra parte, anche le banche (che sostengono le imprese attraverso le aperture di credito ed i cittadini tramite i finanziamenti) vedrebbero crescere il rischio d'attività e dovrebbero quindi adeguare al rialzo gli interessi richiesti per l'attività creditizia, dovendo pagare maggiormente la propria raccolta.

Il picco dello spread negli scorsi giorni verso i 190 punti

Come già anticipato all'inizio dell'articolo, per capire come evolverà davvero la situazione sarà necessario innanzitutto seguire le prossime notizie politiche, a partire dall'effettiva formazione del nuovo governo e dai primi provvedimenti di natura economica che saranno presi.

Negli scorsi giorni lo spread ha mostrato segnali di inquietudine, arrivando a sfiorare i 190 punti base (e segnando un massimo dal mese di giugno del 2017), per poi ritornare sotto i 180 punti. Un'altalena che purtroppo è stata accompagnata da un ribasso di Piazza Affari, che solo ieri sembra aver consolidato il propri indice su quello che appare un nuovo supporto di breve periodo. Anche l'indice Ftse Mib è quindi in attesa di scoprire quale sarà l'effettiva traiettoria delle novità politiche che si apprestano a svilupparsi nelle prossime settimane.

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