Entreranno in vigore il prossimo 6 luglio le misure protezionistiche previste dal nuovo piano economico varato dagli Stati Uniti di Donald Trump. A essere penalizzate questa volta, dopo che nei mesi scorsi erano finite nel mirino le importazioni dall'Europa, sono le importazioni dalla Cina: merci per un valore di circa 34 miliardi di dollari vedranno imporsi dazi pari ad almeno il 25% del loro valore commerciale. E, oltreoceano, il portavoce del ministro degli Esteri cinese Geng Shuang aveva fatto sapere già venerdì scorso che la Cina "risponderà immediatamente prendendo le decisioni necessarie alla salvaguardia dei nostri diritti e interessi legittimi" nel caso in cui gli Stati Uniti "prenderanno misure unilaterali e protezionistiche che danneggiano gli interessi cinesi".

Le reazioni alla politica statunitense

In un periodo storico dominato dal libero mercato, le scelte di Trump sono state accolte in maniera controversa dai politici e dagli economisti negli States e dagli analisti internazionali. Paradossalmente, questa volta Trump incassa il sostegno dei Democratici, da sempre fautori di una Politica economica più statalista, e viene criticato aspramente dai suoi stessi Repubblicani, paladini del libero mercato e spaventati dalle ripercussioni, non solo economiche, che una scelta del genere potrà avere. Perché, se è vero che il presidente Trump ha avvertito che ad una rappresaglia della Cina risponderà con altri dazi, è pur vero che l'economia di interi Stati, come l'Iowa e il Michigan, si basa in larga parte sugli export verso la Cina di prodotti come le famose moto Harley-Davidson.

Proprio questi Stati saranno interessati, a novembre, da una tornata elettorale che potrebbe, se risultasse non favorevole ai Repubblicani, causare non pochi problemi all'amministrazione centrale.

La scelta dei dazi non è solo economica, e non è la prima volta

Secondo la visione del presidente Trump, i dazi sono un'ottima misura per contrastare il fenomeno delle molte aziende che delocalizzano in Cina, dove trovano manodopera a basso costo e un fisco molto "amichevole" con le grandi industrie.

Contrastare questo fenomeno, a detta di Trump, significa anche evitare che i cinesi possano appropriarsi delle proprietà intellettuali statunitensi. Un passo, questo, che era già stato tentato nel 2002 dall'amministrazione di George W. Bush: l'allora presidente impose pesanti vincoli sulle importazioni di acciaio e prodotti dell'industria metallurgica dell'Unione Europea. Dopo appena 8 mesi, però, Bush fu costretto a ritirare le misure varate a causa della terribile risposta dei mercati, che aveva causato perdite ingenti all'economia americana.