Non è bastato il NO del referendum del 5 luglio scorso contro le proposte dei creditori; la portata dell'entusiasmo pro OKI sembra essersi di già ridimensionata e questo è possibile evincerlo dalle proposte avanzate dallo stesso Tsipras nei confronti di Bruxelles. Infatti, proprio questa mattina 12 luglio, l'Eurogruppo si è riunito per decidere se accettare o meno le richieste avanzate da Tsipras in cambio della promessa da parte di Atene di realizzare le riforme chieste dai creditori e dall'Europa come segno di garanzia. Ma la questione sul piano politico si fa ancora più rovente, con il primo ministro greco che si trova, forse adesso più di prima, stretto tra il proprio fronte interno e l'UE. Un qualsiasi passo in una direzione o nell'altra non sarà senza conseguenze.

Le proposte

Sembra strano, eppure, appena una settimana dopo il referendum ellenico, le misure presentate da Tsipras non sono molto diverse da quelle avanzate a suo tempo da Juncker e quindi non meno dure da affrontare per il popolo greco. Tra i punti più importanti del piano Tsipras c'è l'abolizione delle cosiddette "baby" pensioni e l'impegno ad alzare l'età pensionabile fino a 67 anni, con ovvie conseguenze sul mercato del lavoro. Sul piano fiscale Tsipras accetta l'aumento dell'IVA al 23%, anche per le isole più piccole e per altri settori commerciali come quello alberghiero. A ciò si aggiunge una riduzione del debito pubblico a partire dal taglio delle spese militari, ma anziché essere di 400 milioni come chiedeva Juncker sarà di 300. In fin dei conti il piano di Tsipras non si discosta molto da quello che è stato rifiutato con il referendum e non sarà nemmeno tanto meno abbordabile per i greci. Quello che si intravede è, tuttavia, una maggiore dilatazione dei tempi in cui queste misure dovranno essere implementate. Quello su cui Tsipras ed il nuovo ministro delle finanze Tsakalotos invece sperano di trovare al più presto l'ok dell'Europa è la riduzione del debito, ritenuto un aspetto centrale per la ripresa economica e per le trattazioni in corso, e un ulteriore prestito dal fondo salva stati di 53 miliardi. Ma restano dubbi su quest'ultima cifra; infatti, come riportato oggi da alcuni giornali, servirebbero almeno più di 70 miliardi per ridare liquidità alle banche greche, chiuse da 2 settimane e con i depositi a corto, e permettere alla Grecia di ripagare parte dei debiti con gli investitori.

Eurogruppo

Oggi doveva tenersi l'incontro tra i 28 stati membri dell'Unione per varare le proposte di Atene. Tuttavia, poche ore fa è giunta la notizia di uno stallo: già in partenza la Germania non era sembrata molto ben disposta e così anche i paesi scandinavi. In particolare la Finlandia si è detta contraria ad accordare ulteriori stanziamenti attraverso la BCE alla Grecia. Lo stesso Padoan, stamani ai microfoni di SKYtg24, ha auspicato che l'accordo si potesse concludere, a patto che Atene si impegnasse sin da subito ad applicare le riforme richieste come segno dell'impegno del governo ellenico.

Già svanita la portata rivoluzionaria del NO al referendum?

Difficile dirlo, fatto sta che la mossa del referendum è stata una trovata astuta da parte del premier greco al fine di capire se avesse ancora o meno la fiducia del popolo e potere di conseguenza contrattare con una maggiore forza le sue posizioni. Tuttavia le proposte presentate, controcorrente rispetto all'esito del referendum, non sono state prive di conseguenze. Infatti, dopo il voto del parlamento greco sulle misure presentate, il partito e la stessa maggioranza hanno perso dei pezzi. Insomma la questione appare essere molto più politica che economica al momento, con Tsipras che deve cercare, da un lato, di non far cadere il paese in un baratro, ma senza compromettersi agli occhi del suo elettorato dall'altro. L'unica speranza, forse, è che l'Europa riscopra la sua solidarietà, che ultimamente le è mancata.