Ursula Von der Leyen ha presentato a Bruxelles la sua squadra di 26 commissari europei. Uno per ogni Stato membro dell'Unione Europea. I componenti sono stati individuati dai singoli Stati ma la neo-Presidente ha provveduto a disegnare e ad affidar loro le deleghe. Così all'ultimo arrivato per designazione, Paolo Gentiloni, la Presidente ha attribuito uno degli incarichi più importanti: gli Affari economici e monetari.

Ma è scoppiata la polemica per il nuovo nome di una delega da attribuire al commissario greco di centrodestra Margaritis Schinas.

La Presidente della Commissione lo aveva inizialmente, denominato “Protezione dello stile di vita europeo e le migrazioni”. Ancora in precedenza l'incarico del Commissariato che si occupa dell'accoglienza dei migranti era definito degli "Affari interni". La Presidente tedesca gli aveva sicuramente cambiato nome per venir incontro alle formazioni più di destra dell'Europa dell'Est. Tra questi, il partito polacco Diritto e giustizia (Pis) che, insieme all'italiano M5s, è stato decisivo per l'elezione della stessa Von der Leyen. Ma le polemiche hanno spinto la Presidente a cambiare idea.

Cosa intendeva Ursula Von der Leyen per 'stile di vita europeo'

L'accostamento del concetto di stile di vita europeo alla competenza sui migranti, richiamava e precisava quello di integrazione.

Un criterio di accoglienza che Von der Leyen voleva inequivocabilmente puntualizzare. Secondo tale interpretazione, sarebbero i migranti, se vogliono lavorare o essere accolti in Europa, a doversi integrare. Non gli europei a riformare il proprio stile di vita per adeguarlo ai nuovi venuti. Ciò dovrebbe valere sia per i migranti economici, sia per i richiedenti asilo.

In un certo senso, Von der Leyen intendeva riformulare ad hoc il principio di reciprocità del diritto internazionale generalmente riconosciuto. Non essendo tale principio applicabile con lo Stato d'origine del migrante, lo ha reinterpretato sotto forma di scambio con l'individuo che si accoglie. L'Europa avrebbe concesso al migrante di esercitare i propri diritti di democrazia a patto che il medesimo accetti non solo le leggi europee ma, con la sua richiesta di ingresso, implicitamente anche lo stile di vita europeo.

Ci si chiede se tale puntualizzazione sia opportuna per governare un fenomeno epocale come quello delle migrazioni del ventunesimo secolo. Sicuramente la presidente della Commissione riteneva che fosse non solo opportuna ma addirittura necessaria e imprescindibile. Esempio principale, la condizione femminile.

Non poteva sfuggire a una Presidente donna di una Commissione per quasi la metà formata da donne, la circostanza che, nei Paesi d'origine della quasi totalità dei migranti, la condizione della donna sia assolutamente subordinata all'uomo. Sia esso il padre che il marito o, in mancanza, i fratelli maschi. In molti paesi inoltre esiste ancora la poligamia e il ripudio (non il divorzio) da parte del marito.

Per non parlare del fenomeno delle “spose bambine”. Sarebbe esiziale, in caso di ricongiungimento del nucleo familiare, che il migrante prosegua in tale “stile di vita”, ancorché proibito dalla legge.

Di fronte alla contrarietà dei socialisti Von der Leyen ha fatto marcia indietro

La denominazione data da Von der Leyen alla delega all'emigrazione tuttavia ha destato alcune perplessità. Alcuni osservatori l'hanno definita una vera e propria "gaffe". L'ala più a sinistra del gruppo dei Socialisti e democratici europei ha subito protestato. Si è fatto sentire anche l'ex Presidente del Consiglio Enrico Letta. Una perplessità è stata espressa dal governo francese ed Emmanuel Macron ha tenuto il punto.

Ursula Von der Leyen riteneva che difficilmente i socialisti europei gli avrebbero votato contro, visto che ha nominato ben dieci commissari provenienti dalle loro fila. Inoltre, già 22 socialisti, in sede di nomina della Commissione avevano preferito astenersi e non hanno minimamente inciso sull'investitura parlamentare della Commissione stessa. Così, come tutti i tedeschi, pensava di non doversi arrendere. Invece ha dovuto far marcia indietro. Ecco perché il Presidente socialista e democratico del parlamento europeo, David Sassoli, sta gettando acqua sul fuoco.