No deal. Oggi, 3 settembre, nell'ultima 'finestra' utile prima della chiusura della Camera dei Comuni, concessa dalla regina al Premier Johnson, il leader laburista Jeremy Corbyn getta la sua ultima carta. Una proposta di legge che costringa il Primo Ministro conservatore a non uscire dall'Europa prima di essersi accordato con Bruxelles.

Proprio per evitare ciò, Boris Johnson aveva chiesto ed ottenuto dalla regina Elisabetta la chiusura del Parlamento dal 9 settembre al 14 ottobre, giorno del discorso annuale della sovrana. Da tale data al 31 ottobre, scadenza dell'ultima proroga concessa dalla Ue prima della Brexit, sarebbero rimasti pochi giorni perché il Parlamento potesse approvare una bozza di accordo.

Il no deal, quindi, sarebbe stato inevitabile.

Il premier conservatore, paladino di una Brexit "senza se e senza ma", è stato preso in contropiede dalla mossa del suo avversario laburista. Tanto da rilasciare alla stampa dichiarazioni che in parte sembrano contraddire la sua linea sulla Brexit, in parte ventilare la resa. Johnson ha infatti detto che presentarsi a Bruxelles ricercando l'accordo ad ogni costo, indebolirebbe la posizione del Regno Unito. Implicitamente, ha ammesso di ritenere il no deal soltanto la conseguenza del rifiuto, da parte della Gran Bretagna, di un accordo ancor più sfavorevole. In pratica, la stessa posizione della sua predecessora Theresa May: "No deal is better than a bad deal".

Nessun accordo è meglio di un cattivo accordo. Johnson ha inoltre dichiarato di ritenere il voto richiesto da Jeremy Corbyn equivalente a una sfiducia del Parlamento. In tal caso dovrebbe dimettersi. Se non lo facesse, il suo oppositore ha già annunciato un eventuale voto di sfiducia, da utilizzare "al momento opportuno".

Manifestazioni 'oceaniche' contro il no deal hanno indotto Corbyn all'azione

Corbyn è stato indotto a tali mosse dalle manifestazioni oceaniche e dalla raccolta di milioni di firme contro la chiusura del Parlamento voluta e ottenuta da Johnson. La sua proposta di legge potrebbe passare con il voto compatto dell'opposizione e degli avversari di Johnson all'interno del partito conservatore.

Il governo in carica, infatti, si regge sul voto di tre deputati unionisti irlandesi e gli oppositori interni del premier sembrano almeno una decina.

Di certo, però, l'affidabilità dei membri del Parlamento britannico, in questo ultimo anno, non è sembrata granitica. Proprio Theresa May, già premier e capo dei conservatori prima di Johnson, è stata sconfitta per ben tre volte, sulla Brexit, dalla sua stessa maggioranza. Dopo il primo voto negativo, aveva richiesto la fiducia che gli era stata accordata. Ciò non gli ha evitato le successive bocciature. Un'incoerenza di fronte alla quale quella dei nostri parlamentari fa sorridere.

Va detto che a pilotare la fronda interna alla May, all'epoca, fu lo stesso Boris Johnson.

Ciò non esclude che anche a Londra sia valido il proverbio "chi la fa l'aspetti". Johnson lo sa bene. Per questo ha minacciato l'immediata espulsione dal partito conservatore di quei deputati che voteranno la legge Corbyn contro il no deal alla Camera dei Comuni.

No deal potrebbe significare elezioni anticipate

A questo punto gli scenari che si potrebbero aprire, secondo la maggior parte gli osservatori, porterebbero quasi sicuramente a nuove elezioni. Se Johnson si dimette o viene sfiduciato dopo il voto sfavorevole, i partiti dell'opposizione hanno 14 giorni per cercare di mettere insieme una maggioranza alternativa. Il 9 settembre, però, il Parlamento chiude sino al 14 ottobre. Si ventila, perciò, la formazione di un nuovo esecutivo che dovrebbe presentarsi alla Camera, per chiedere la fiducia, prima del 31 ottobre, sulla base di una ulteriore proroga della Brexit da richiedere alla Ue.

Il passo successivo dovrebbero essere le nuove elezioni.

Nuove elezioni potrebbe chiederle anche Boris Johnson, sia in caso che venisse sfiduciato, sia prima dello svolgimento del voto contro il no deal. Ciò per bloccare l'azione dell'opposizione e, soprattutto, i conservatori 'ribelli'. Il premier, infatti, ha convocato a sorpresa il governo per oggi alle ore 17:00 locali. In caso di elezioni anticipate, la prima data utile sarebbe il 17 ottobre. Ancora in tempo per accordarsi con la Ue, prima della Brexit. Non è detto però che il nuovo Parlamento, dopo le manifestazioni di piazza dei giorni scorsi, sia favorevole a Boris Johnson e ai suoi fedelissimi.